LA CHIAMAVANO FANGHIGLIA MA ERA ‘NDRANGHETA

Poiché la memoria in questa nostra Città è in avanzato stato di decomposizione, riportiamo integralmente un passo del dossier Antimafia “Tra la via Aemilia e il West– storie di mafie, convivenze e malaffare in Emilia Romagna” che un Gruppo di giovani (il Gruppo delle Zuccherificio) aveva realizzato nel lontano 2016:

«Nel 2009 l’allora sindaco di Reggio Emilia, e poi ministro alle infrastrutture, Graziano Delrio non si era accorto della presenza mafiosa nella sua città tanto da andare in campagna elettorale ad omaggiare proprio a Cutro la locale Madonna, la cui vara è quella che omaggia in processione i boss della ’ndrangheta, tra cui Nicolino Grande Aracri. L’interrogatorio che riportiamo risale al 2012: “Pubblico Ministero Pennisi: Ma lei sa che esiste una persona che si chiama Nicola Grande Aracri? Delrio: So che esiste Grande Aracri, Nicola non… non lo avevo realizzato”. PM: Sa che è di Cutro? Delrio: “No, non sapevo che fosse originario di Cutro, perché abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo”. PM: Scusi, per dire la verità, che Nicola Grande Aracri e che la criminalità organizzata che proviene da Cutro si ispiri a lui, penso lo sappia anche lei se ha letto sui giornali gli interventi del Prefetto”. Ma l’esponente del Pd probabilmente era distratto».

Il PD ravennate non la prese bene. E sputò offese. Il massimo rappresentante cittadino in un comunicato definì “fanghiglia” quel dossier ergendosi a non richiesto tutore del piddino Delrio, parlando di «moralità che probabilmente gli autori delle infamie scritte non sanno neanche dove sta di casa». La replica non si fece attendere: «Crediamo che il tutto possa essere ricondotto ad una triste polemica da campagna elettorale, dato che a Ravenna si va in tornata amministrativa, dalla quale per il rispetto di tutti coloro che conducono la lotta alla mafia ogni santo giorno, non abbiamo intenzione di farci buttare dentro». Il riferimento era al ruolo di portavoce di Ravenna in Comune che aveva assunto Massimo Manzoli, uno degli autori del dossier, e alle imminenti elezioni amministrative che avrebbero interessato il nostro Comune. Per la cronaca, lo stesso Manzoli sarebbe entrato in Consiglio Comunale nel 2017, in sostituzione di Raffaella Sutter, come capogruppo di Ravenna in Comune.

Perché scriviamo questo a quasi 10 anni da quei fatti? Perché la stampa riporta la decisione dell’attuale sindaco di Reggio Emilia, Marco Massari, di «proporre alla Giunta e alla commissione Toponomastica una “modifica integrativa” della denominazione di Viale Città di Cutro». La via era stata inaugurata nel 2009 dall’allora sindaco Delrio. Antonella De Miro, prefetto di Reggio Emilia dal 2009 al 2014 negli anni delle prime interdittive antimafia e delle inchieste che poi porteranno, all’inchiesta Aemilia sul radicamento della ‘ndrangheta calabrese in Emilia-Romagna, ha per prima avanzato la proposta del cambiamento di nome. «Mi turba vedere, arrivando a Reggio Emilia, la grande arteria di collegamento con il centro città intitolata tutt’oggi alla città di Cutro, nonostante il riferimento a Cutro evochi ai più la ‘ndrangheta reggiana che pretendeva di comandare la città». La sua speranza sarebbe quella, al prossimo viaggio verso la via Emilia, di trovare il nome della strada cambiato in «viale Reggio Emilia città libera da tutte le mafie».

Il giudice Francesco Caruso, presidente del collegio giudicante del maxi processo Aemilia, ha dichiarato: «Il processo migratorio da Cutro è stato segnato dall’attivismo e dall’egemonia culturale esercitata sui compaesani dal clan mafioso. I mafiosi accompagnarono la migrazione dei lavoratori cutresi, li sfruttarono e assoggettarono a condizioni di lavoro disumane, favorite dalla modalità di assunzione tramite mediatori di manodopera, alcuni dei quali, i più intraprendenti, divennero poi organici alla cosca. Si dice che il nome della strada inneggia alla laboriosità dei muratori cutresi che costruirono la città. Non è più così, se mai lo è stato. “Cutro” è il modo in cui i mafiosi reggiani chiamavano l’originaria cosca locale di ‘ndrangheta ma è soprattutto sinonimo del metodo attraverso il quale alcune decine di imprenditori mafiosi presero il comando di settori dell’economia reggiana per arricchire sé stessi, assoggettando prima i lavoratori e gli imprenditori calabresi, poi alcuni reggiani, affascinati dalla spregiudicatezza ed efficienza dei metodi di arricchimento illecito».

Per la cronaca Delrio non ha mai smentito il suo viaggio a Cutro nel 2009 alla vigilia delle elezioni amministrative in cui si era ricandidato a sindaco.

Crediamo che qualcuno da parte del PD dovrebbe sentire la necessità di scusarsi, seppur tardivamente, di fronte alla sconfessione da parte dello stesso partito, che amministra Reggio Emilia, delle scelte compiute da Delrio. Poiché però, ci scommettiamo, dal PD, come al solito, si preferirà far finta di niente, siamo noi a ricordare l’ultima relazione semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia): «Gli esiti giudiziari di alcune rilevanti inchieste hanno confermato il radicamento e l’operatività in Regione, da più di un ventennio, di un sodalizio ‘ndranghetista storicamente collegato alla cosca Grande Aracri originaria di Cutro (KR), riuscito a infiltrarsi nell’economia legale prevalentemente nelle Province di Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Modena. Questo sodalizio si è sempre dimostrato in grado di mascherare la riconducibilità di attività economiche, commerciali e immobiliari tramite prestanomi, con intestazioni fittizie e/o operazioni di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti, agevolato dalla complicità di professionisti, imprenditori e politici locali senza scrupoli. Frequentemente si è riscontrata l’esistenza di sistemi illegali costruiti ad hoc per perseguire i propri interessi criminali e frodare sistematicamente il fisco. Al riguardo, già dai primi anni 2000 sarebbe emerso come le estorsioni agli imprenditori fossero dissimulate tramite l’emissione di false fatture consegnate agli estorti per fare loro recuperare il corrispondente importo tramite l’IVA. Altre rilevanti inchieste hanno documentato la presenza di soggetti ritenuti “vicini” alla cosca di ‘ndrangheta Farao-Marincola di Cirò (KR), con particolare riferimento alle Province di Parma e Bologna, ai Piromalli di Gioia Tauro (RC) e ai Mancuso di Limbadi (VV) nelle Province di Forlì-Cesena, Ravenna, Modena e Bologna».

Come Ravenna in Comune ricordiamo ancora una volta che nessuna città è immune dal rischio mafie e che se il cantiere del palazzetto continua ad andare avanti a stop & go tra un’interdittiva antimafia e l’altra, una ragione ci sarà! Non è chiudendosi occhi e orecchie e buttando fanghiglia addosso a chi denuncia che la ‘ndrangheta scomparirà. Né da Reggio Emilia. Né da Ravenna.

[nell’immagine: il cantiere del nuovo palazzetto dello sport alla vigilia di una delle tante sospensioni dei lavori dovute alle interdittive antimafia]

#RavennainComune #Ravenna #mafie

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Reggio Emilia verso una modifica all’intitolazione di ‘Viale Città di Cutro’

Fonte: il Resto del Carlino del 19 luglio 2025

One comment to “LA CHIAMAVANO FANGHIGLIA MA ERA ‘NDRANGHETA”
  1. Concordo in pieno con l’ articolo e, anch’io vorrei che il PD prendesse veramente le distanze da certi suoi politici molto discussi.

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