Oggi si conclude la campagna per il voto referendario. Più che altro l’impegno che abbiamo visto metterci da parte del centrodestra è stato quello di insistere perché non ci sia il voto referendario. Il centrosinistra, un po’ sì e un po’ no. Il tono generale è che ci sono cose più importanti al mondo da fare che stare a perder tempo per mettere delle ics sulle schede. Tante ics, poi: ben cinque.
Il Referendum è il solo pezzo di democrazia diretta su cui possiamo contare. Le barriere sono altissime. Ci vuole almeno mezzo milione di firme di elettrici ed elettori perché la richiesta sia presa in considerazione (o cinque consigli regionali). E può essere solo abrogativo, ma almeno l’abrogazione della norma, se passa, dovrebbe in teoria essere effettiva: le proposte di legge popolare per introdurre una nuova norma sono delle autentiche prese in giro. E mica si può provare ad abrogare tutto. Neanche per idea! Non si possono fare referendum sulle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Ma nemmeno su cose che non c’entrano niente con queste materie ma vengono ficcate dentro, che so, una legge di bilancio, proprio per impedire la messa a referendum.
Ci sono poi severi sbarramenti da parte di Cassazione e Corte Costituzionale per rendere quasi impossibile la messa al voto popolare. Questa volta, ad esempio, è stato il referendum sulla cosiddetta autonomia differenziata ad essere escluso dalla scheda.
Non basta. Il voto non è ritenuto valido se non vi partecipa più della metà di elettrici ed elettori. Poiché sono 51.303.216 ad aver diritto al voto, di cui 5.302.299 stanno all’estero, occorre che si rechino alle urne almeno 25milioni 651mila 609 tra elettrici ed elettori. Negli ultimi dieci anni nessun referendum abrogativo ha mai raggiunto il quorum.
Non basta ancora. Deve essere la maggioranza dei votanti ad esprimersi per il Sì per ottenere l’abrogazione. Ma non è detto lo stesso. Nel 2011 i referendum abrogativi che ottennero sia il superamento del quorum partecipativo che la maggioranza dei Sì aspettano ancora che vengano attuati…
Con tutto ciò, come detto, è in corso da tempo una intensa campagna per tenere lontane e lontani dal voto. A partire dalla data scelta, nemmeno coincidente con il primo turno delle amministrative; per arrivare fino ai veri e propri appelli a far mancare il quorum da parte di figure istituzionali. È il caso del Presidente del Senato. E della Presidente del Consiglio. E pure dei Ministri…
Tutto questo impegno per fare fallire l’istituto referendario dovrebbe svegliare chi ancora dorme. Analogo impegno a quello di oggi del centrodestra, in altri referendum, come quello sulle trivelle del 2016, del resto, lo ha messo il centrosinistra. I referendum fanno paura proprio perché non passano attraverso intermediari della politica, magari professionale, ma sono appunto un istituto di democrazia diretta. Il solo che abbiamo. Non facciamocelo portar via. Ravenna in Comune invita a votare 5 Sì. Ma soprattutto ad andare a votare.
Buon voto!
#RavennainComune #Ravenna #Referendum
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L’8 e 9 giugno l’Italia vota per 5 referendum: ecco quando, come e perché votare con un Sì o con un No