IL 4 NOVEMBRE COME RIFIUTO DELLA GUERRA

Oggi si ricorda la fine della prima guerra mondiale. Ma non la si ricorda come si dovrebbe, pensando ai lutti, ai milioni di morti, alla devastazione arrecata, alla fame e a tutto ciò che favorì un periodo ancora peggiore, quella dittatura fascista che accompagnò l’Italia ad un secondo conflitto mondiale. No. Si festeggiano i militari oggi, in attesa di una guerra domani. Ieri il ministro della Difesa è stato chiarissimo:

«È finito il tempo di edulcorare le parole, sono ogni giorno più preoccupato, vivo la mia responsabilità di ministro con l’ansia di vedere cose che non vorrei vedere. È una sensazione che mi sono stufato di vivere da solo, circondato da un Paese che non capisce che i tempi sono molto difficili. L’aumento delle spese della Difesa non lo considero un elemento di dibattito politico, ma una necessità. In momenti come questi è un prerequisito perché ci sia la pace in Italia».

Quando cambieremo anche in Italia il nome del dicastero di Crosetto in Ministero della Guerra? Eppure almeno in qualcosa il ministro ha ragione: il Paese non capisce. Più correttamente, le Italiane e gli Italiani non vogliono spendere soldi in armi invece che in scuole, ospedali, pensioni e migliori retribuzioni. E, soprattutto, nonostante una propaganda martellante sono contrari alle guerre, specie quelle in cui siamo coinvolti come Italia. Perché l’Italia è in guerra già ora, in violazione della Costituzione Italiana. Abbiamo iniziato partecipando alla prima guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq e da allora non abbiamo più smesso. E vorrebbero che continuassimo andando in guerra contro la Russia. Forse qualcuno ricorda ancora la ritirata di Russia…

Il CENSIS nel luglio scorso ha pubblicato uno studio intitolato: “Gli italiani in guerra – Indagine sulla percezione dei conflitti e sul riarmo nella società italiana”. Un dato emerge sopra tutti gli altri: «Solo il 16% degli italiani si dichiara pronto a combattere per la patria o per un ideale, mentre una maggioranza ben più ampia sceglierebbe la protesta pacifista o addirittura la diserzione». E «solo il 25% sostiene in ogni caso un incremento delle risorse finanziarie destinate alla difesa, anche a costo di sacrificare voci di spesa cruciali come la sanità e le pensioni, per adattarsi a vivere in un mondo più pericoloso». Non basta: «La neutralità emerge come il principio guida della politica estera auspicata dagli italiani: una bussola che riflette una vocazione storica a evitare coinvolgimenti diretti nei conflitti armati. Sul conflitto russo-ucraino il 62% preferisce una posizione neutrale, evitando rischi che potrebbero esporre il Paese a conseguenze imprevedibili».

Eppure, continua, il CENSIS, «In dieci anni, la spesa militare italiana è aumentata del 46,0% in termini reali. L’Italia contribuisce in modo rilevante al funzionamento della Nato, coprendo l’8,5% del budget complessivo di 4,6 miliardi di dollari, posizionandosi al 5° posto tra i finanziatori, dopo Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia. Sul piano delle risorse umane, il personale militare italiano conta 171.000 unità: un contingente significativo, che ci vede preceduti solo da Stati Uniti (1,3 milioni), Turchia (481.000), Polonia (216.000), Francia (205.000) e Germania (186.000), ma davanti a Regno Unito (138.000) e Spagna (117.000)». 

La conclusione del rapporto si concentra sull’economia di guerra: «Un altro aspetto rilevante è il peso economico del settore della difesa. Nel 2024, l’Italia ha autorizzato esportazioni di armamenti per 7,7 miliardi di euro, in crescita del 23,6% rispetto all’anno precedente. I prodotti principali sono aeromobili, navi da guerra, missili e artiglieria pesante, diretti soprattutto verso Indonesia, Francia, Nigeria, Regno Unito, Germania, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.  Due colossi nazionali, Leonardo (1,8 miliardi di euro di export) e Fincantieri (1,5 miliardi), hanno generato oltre il 50% del valore esportato.  Sul fronte delle importazioni, l’Italia ha acquistato armamenti per 744 milioni di euro, principalmente da Stati Uniti (184 milioni) e Israele (155 milioni), che insieme coprono il 45% del totale.  Nel panorama globale, Leonardo si conferma un attore di peso, classificandosi al 13° posto tra le aziende produttrici di armi e servizi militari, con ricavi dalla vendita di armamenti stimati in 12,4 miliardi di dollari nel 2023, mentre Fincantieri si collocava al 51° posto con 2,8 miliardi. In molti casi,  però, i dati sugli armamenti sono però coperti da segreto».

Se la storia dovesse effettivamente insegnare qualcosa, bisognerebbe apprendere da quanto accaduto prima che scoppiasse la prima guerra mondiale. Nel 1914 le spese combinate per il riarmo dell’impero britannico, della repubblica francese, del reich prussiano, dell’impero asburgico, di quello dei Romanov e del regno sabaudo erano arrivate a quadruplicare i costi per la militarizzazione che gli stessi Paesi avevano sostenuto nel 1870. La Russia arrivò a destinare il 45 per cento di tutte le spese al riarmo.

Scrivevamo in occasione dell’anniversario di quell’attentato a Sarajevo che, nel 1914, fu preso a pretesto per far scoppiare una guerra mondiale che si stava preparando da tempo: «Lottare contro il riarmo è l’obiettivo che dobbiamo porci e che dobbiamo perseguire senza tentennamenti assieme alla richiesta di uscita dal Patto Atlantico. L’abbandono del riarmo, sia di quello nazionale che di quello integrato europeo, è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per non entrare in un nuovo conflitto mondiale, probabilmente già ora in atto nella forma “a pezzi”. È anche la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per difendere l’esistenza di uno stato sociale che si vorrebbe spazzare via per destinare ogni risorsa al riarmo. Quell’indebitamento che il liberismo ortodosso non consente per i servizi scolastici e sanitari è invece considerato un investimento per il progresso economico quando si parla di armi».

Per Ravenna in Comune il modo migliore di celebrare la fine della prima guerra mondiale non è prepararsi ad una terza. Pensiamo giusto, invece, seguire l’insegnamento di un grande Presidente della Repubblica, quel Sandro Pertini che la prima guerra mondiale l’aveva combattuta:

«L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro Popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della Terra. Questa la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire».

Con queste parole giurò fedeltà alla Repubblica il giorno del suo insediamento al Quirinale. Con le stesse parole oggi noi celebriamo il 4 novembre avendo ben chiaro che la strada da seguire è quella che Pertini ci indicava, non quella dei servi dell’impero statunitense che occupano Parlamento e Governo italiano.

[Nell’immagine: Otto Dix, Der Krieg (La Guerra)]

#RavennainComune #Ravenna #guerra #pace

_______________________

Crosetto: «Sulle spese per la Difesa è finito il tempo di edulcorare le parole, i tempi sono cambiati»

Fonte: Il Sole 24 Ore del 3 novembre 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.