SVUOTIAMO GLI ARSENALI – COSE FUORI DAL COMUNE

Ieri era l’anniversario del riuscito tentativo di assassinare l’erede al trono dell’impero asburgico. Era anche l’anniversario della battaglia di Kosovo Polje, momento simbolo della nazione serba, combattuta il 15 giugno 1389, secondo il calendario giuliano, spostato al 28 giugno dopo l’entrata in vigore del calendario gregoriano. Nell’anniversario di quella battaglia, peraltro perduta dai serbi contro gli ottomani, il 28 giugno 1914 il serbo bosniaco Gavrilo Princip uccideva l’arciduca Franz Ferdinand Carl Ludwig Joseph Maria von Österreich-Este erede al trono dell’impero asburgico e sua moglie la duchessa Sophie Maria Josephine Albina Gräfin Chotek von Chotkowa und Wognin in visita a Sarajevo. Una serie di meccanismi, che già da tempo erano pronti ad incastrarsi l’uno nell’altro, iniziarono a girare, sempre più velocemente, sino ad arrivare, nella cosiddetta Crisi di Luglio, ad un ultimatum dell’impero al regno di Serbia concepito appositamente per dar luogo ad una guerra. Seguì pertanto la mobilitazione generale serba il 25 luglio, la reazione imperiale degli austro-ungarici con la mobilitazione generale il giorno successivo, e, da parte di questi ultimi, la dichiarazione di guerra alla Serbia il 28 luglio ed il bombardamento di Belgrado il 29 luglio 1914. Il 30 luglio il secondo Reich guidato dagli Hohenzollern inviava ultimatum sia all’impero dei Romanov che alla terza repubblica francese e il 2 agosto al regno del Belgio. Il 1° agosto 1914 la Prussia dichiarava guerra alla Russia, il 2 agosto occupava il granducato del Lussemburgo, il 3 agosto dichiarava guerra alla Francia ed il 4 al Belgio e, contestualmente, lo invadeva. Quest’ultimo atto produce a sua volta un ultimatum imperiale del Regno Unito nei confronti del reich tedesco con la perentoria intimazione di rispettare la neutralità belga. Lo stesso giorno, a seguito del rifiuto dei tedeschi, il Regno Unito dichiarava guerra al Reich. E di lì innanzi fu tutto un susseguirsi di mobilitazioni, dichiarazioni di guerra e combattimenti in tutto il pianeta costati due guerre mondiali che, dunque, occuparono in azioni belliche gran parte della prima metà del secolo scorso. Mezzo secolo di morte, distruzione e impoverimento generale tranne che per chi armava gli eserciti e chi investiva in quel tipo di industrie.

La corsa agli armamenti è uno di quei potenti meccanismi che si erano approntati nei decenni precedenti. Nel 1914 le spese combinate per il riarmo dell’impero britannico, della repubblica francese, del reich prussiano, dell’impero asburgico, di quello dei Romanov e del regno sabaudo quadruplicarono rispetto ai costi per la militarizzazione sostenuti nel 1870. Per dare un’idea di cosa significasse nel contesto di un bilancio nazionale, la Russia arrivò a destinare il 45 per cento delle spese al riarmo. Ovviamente si rese necessario un riequilibrio degli altri costi. Nello stesso periodo, lo stesso Paese limitava dunque al 5% delle spese all’istruzione.

L’Italia e gli altri Paesi NATO (con qualche distinguo da parte della Spagna) si sono ora impegnati a destinare al riarmo una spesa annua per singolo Paese non inferiore al 5% del PIL, entro i prossimi 10 anni, attraverso un progressivo e continuo aumento, entro questo periodo. Non sappiamo a quanto ammonterà il PIL tra 10 anni in Italia ma sappiamo quale livello aveva raggiunto lo scorso anno: 2.192,2 miliardi di euro circa. Ai valori attuali il 5% corrisponderebbe dunque a 109,6 miliardi di euro l’anno. Per adattare l’importo ad un’evoluzione dei dati nel tempo, una stima del Sole24Ore pone il livello effettivamente da raggiungere nel 2035 a quota 145 miliardi di euro rispetto agli attuali 31,2 miliardi di euro. Sempre per un confronto, l’Istat rivela che già ora la spesa pubblica per istruzione in Italia si ferma al 3,9% del PIL, a fronte di una media UE del 4,7%. Ed anche nella sanità, con il 6,2% del PIL siamo ben al di sotto dei principali Paesi europei: la Germania spende per la sanità pubblica il 10,1% del PIL, il Regno Unito l’8,9%, la Spagna il 7,2% e la Francia il 10%. E potremmo continuare…

Lottare contro il riarmo è l’obiettivo che dobbiamo porci e che dobbiamo perseguire senza tentennamenti assime alla richiesta di uscita dal Patto Atlantico. L’abbandono del riarmo, sia di quello nazionale che di quello integrato europeo, è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per non entrare in un nuovo conflitto mondiale, probabilmente già ora in atto nella forma “a pezzi”. È anche la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per difendere l’esistenza di uno stato sociale che si vorrebbe spazzare via per destinare ogni risorsa al riarmo. Quell’indebitamento che il liberismo ortodosso non consente per i servizi scolastici e sanitari è invece considerato un investimento per il progresso economico quando si parla di armi. Perché un nuovo 28 giugno sia impossibile è dunque essenziale evitare ogni forma di riarmo.

Il giorno del suo insediamento come Presidente della Repubblica, il primo ed unico presidente socialista della nostra Repubblica, Sandro Pertini, fu molto chiaro: “L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro Popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della Terra. Questa la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire”. Queste parole che accompagnarono il suo giuramento ci siano di guida ora e sempre. Resistenza.

[L’immagine è un dipinto di Adam Stefanović, La battaglia di Kosovo Polje (1870)]

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