È MORTO UN ALTRO RAGAZZO MENTRE LAVORAVA: NON È STATO UN INCIDENTE PERCHÉ GLI INCIDENTI SUL LAVORO NON ESISTONO

Questo è l’articolo che non vorremmo mai scrivere. È l’articolo sulla morte di un ragazzo mentre lavorava. È accaduto giovedì in tarda serata nella cosiddetta stazione di trasferenza di Hera Ambiente di Cervia vicino alla stazione ecologica. Christian Vernocchi aveva 26 anni, era un nostro concittadino, e stava svolgendo il suo lavoro per la ditta Ravenna Chimica, azienda del Gruppo Ciclat. Scrivono i sindacati: “Gli interrogativi che accompagnano la sua morte sono diversi, a partire dall’orario in cui è avvenuto l’incidente e dalle manovre che si stavano svolgendo nella stazione”. Sono in corso le indagini.

A chiarire la dinamica, appunto, ci penseranno gli inquirenti. A Ravenna in Comune preme ricordare che è successo quello che non può succedere e invece continua ad accadere. Non può succedere perché, in un contesto lavorativo, la normativa dispone modalità per prevedere il tipo di rischi e quanto va fatto perché questi siano evitati. La morte, stando ad Hera, è stata causata da una ruspa che lo ha ridotto in quelle che sono subito apparse come gravissime condizioni. Ma le ruspe sono dei mezzi di lavoro, non degli assassini.

Ripetiamo concetti già espressi. E anche questo ci fa male farlo. La morte sul lavoro non è un incidente. È l’evento che consegue ad azioni che, dopo esser stato messo in conto che potessero accadere (il rischio), si è consentito che accadessero. Per cause immediate differenti ma per una causa prima chiamata profitto. È sempre così. Le indagini proveranno ad accertare la catena degli avvenimenti e quella delle responsabilità. Seguirà il processo, se il procedimento lo riterrà necessario. Seguiranno, solo in quel caso, i gradi di giudizio. Alla fine, se ci sarà stato un processo, se sarà giunto in fondo senza prescrizioni, ci sarà una sentenza. Vedremo. Tra molti anni. Come abbiamo visto in questi giorni per le morti di Viareggio. Come abbiamo visto per Luca Vertullo, un altro ragazzo, ancora più giovane.

I sindacati e le istituzioni hanno subito scritto che è inaccettabile e intollerabile. Anche i sindacati e le istituzioni, come noi, si ripetono. Noi e loro sappiamo che fino a quando non capiterà che un padrone sarà condannato a pena grave per aver prodotto lo spegnimento di una vita e sconterà quella pena, le morti continueranno a succedersi, anche se non dovrebbero, perché tutte potenzialmente evitabili. E come insegnano il casi di Viareggio e di Luca Vertullo, di solito questo non accade.

Ravenna in Comune non siede in Parlamento né nelle aule dei Palazzi di Giustizia, quindi possiamo solo fare quello ci compete. Torniamo a chiedere, dunque, al Sindaco di Ravenna di rendere visibili i dati che vengono raccolti dall’Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza sul Lavoro che dopo anni di impegno siamo riusciti a far implementare dallo stesso Sindaco presso la Prefettura. È fondamentale appurare l’incidenza dei cosiddetti “incidenti sul lavoro” in relazione al numero di passaggi che passa tra il padrone e il lavoratore. Perché, se qualcuno non se ne fosse accorto, più è lunga la serie di passaggi, da un appalto all’altro, tra il padrone che trae profitto dal lavoro e il lavoratore che lo svolge e più aumenta il rischio di “incidente”. In altri termini, di appalti e subappalti, di lavoro nero e caporalato, spesso, si muore.

[Nella fotografia di Massimo Fiorentini: Il mezzo meccanico all’interno del luogo in cui si è verificato l’incidente]

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Muore sul lavoro a 26 anni nella stazione di trasferimento dei rifiuti di Hera

Fonte: Ravenna&Dintorni del 15 gennaio 2021

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