SCHIAVITÙ NEI CAMPI?

Abbiamo usato il termine “schiavitù” nei giorni scorsi per parlare dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Si tratta di un’iperbole? Stiamo esagerando?

Certo, da noi ci sono fenomeni di caporalato ma, qualcuno potrebbe dire, parlare addirittura di schiavitù… neanche fossimo a Rosarno… Certo che qualcuno bisogna pur mandarlo nei campi, c’è chi pensa. Ma non a “qualunque costo”. L’idea di fondo è sempre quella: non assumere personale corrispondendo quanto dovuto ai sensi della contrattazione nazionale. «Chi prende il reddito di cittadinanza può cominciare ad andare a lavorare nei campi per raccogliere la frutta e la verdura, visto che gli agricoltori stanno facendo fatica a trovare lavoratori per la stagione della raccolta. Così restituisce un po’ quello che prende». Lo ha detto Salvini pensando alla campagna lombarda? No, lo ha detto il presidente della nostra Regione, Stefano Bonaccini, in un passaggio del suo intervento al Quarantalks organizzato dalla Bologna Business School. Lo ha riportato giovedì Milano Finanza.

E quando si tratta di sfruttamento, dunque, l’Emilia-Romagna non è seconda a nessuna altra regione. Basta leggersi l’illuminante resoconto dell’indagine che ha portato a scoperchiare l’ennesimo caso di caporalato in Romagna, riportato in un bell’articolo di Andrea Colombari, uscito su Il Resto del Carlino di ieri:

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Caporalato, «le condizioni erano disumane». Bagnara, le testimonianze dei lavoratori controllati da quattro presunti reclutatori pachistani, arrestati dalla polizia.

I materassi erano stati buttati sul pavimento. E non ce n’erano nemmeno a sufficienza per tutti tanto che in un’intercettazione, uno degli extracomunitari si lamentava con uno dei reclutatori perché «in tre in un letto non si può stare». E poi sporcizia, mancanza di mobilio dove sistemare i vestiti e assenza di acqua calda. Condizioni assai precarie ma non per tutti: perché i tre soci della ditta di reclutamento, dormivano in una stanza separata, ciascuno nel proprio letto, sugli unici giacigli dotati di rete. Secondo l’ordinanza del gip di Forlì Maurizio Lubrano che ha portato in carcere quattro pachistani accusati di caporalato nei confronti di 45 stranieri tra loro connazionali e afghani, erano quelle le caratteristiche di uno dei centri più grandi usati per stipare quella forza lavoro da sfruttare nei campi di tutta la Romagna: un casolare fatiscente nelle campagne di Bagnara all’interno del quale, secondo le indagini della squadra Mobile forlivese coadiuvate da Inail e ispettorato del Lavoro, erano state alloggiate a seconda dei periodi tra le 15 e le 20 persone.

«La casa è sporca e anche il mangiare è disumano», aveva detto agli investigatori uno degli ospiti. Un altro aveva aggiunto che «non era luogo idoneo per abitare: ho dovuto accettare perché ero senza lavoro». Non solo: dalle carte emerge che l’indagine, che ha toccato anche i territori di Rimini e Forlì, sempre su Ravenna ha inquadrato un altro casolare fatiscente nel quale erano stati stipati extracomunitari reclutati perlopiù tra i richiedenti asilo: si trova a San Pietro in Vincoli e fino al 13 luglio scorso avrebbe alloggiato 20 lavoratori in condizioni di igiene precarie e di sovraffollamento, anche in questo caso con materassi in numero insufficiente e appoggiati sul pavimento. Ed è per una ditta individuale agricola proprio di San Pietro in Vincoli intestata a un ravennate che, per gli inquirenti, tra maggio e novembre 2019 erano stati reclutati 32 lavoratori, di cui 4 irregolari, per essere usati come braccianti soprattutto nella raccolta delle pesche. Tutto ciò grazie a due società ritenute fittizie aperte da altrettanti pachistani: una con sede a Forlì e l’altra a Massa Lombarda. Quest’ultima era stata costituita il 10 ottobre e il 22 era stata iscritta alla Camera di Commercio. Secondo un sopralluogo del 7 dicembre, la sua sede era inesistente visto che corrispondeva a un immobile abbandonato di Massa. Di fatto sarebbe stato quello il canale ufficiale attraverso il quale reclutare tra i più disperati per poi offrirli a committenti in cambio di paghe da fame: 50 euro al mese per 80 ore di lavoro la settimana. In principio il reclutamento avveniva nei paraggi: ma quando si era sparsa la voce che non pagassero, allora gli indagati sarebbero andati a reclutare nei centri d’accoglienza. Uno dei lavoratori, sentito a verbale, aveva detto che una volta contattato da un reclutatore, gli era stato riferito «di raggiungerlo a Ravenna. Abbiamo preso accordi e sono arrivato in stazione. E poi lui mi ha preso e portato al casolare. Gli ho dato i documenti e dopo pochissimi giorni, ho iniziato a lavorare come potatore. Non ho mai firmato alcun contratto». Del resto la domanda nei campi non mancava, merito anche dell’intraprendenza degli indagati: uno aveva commissionato a una copisteria ravennate mille bigliettini da visita da distribuire ai vari committenti con numero di cellulare, partiva Iva e prestazioni offerte: ’Squadra manodopere’. Aveva funzionato tanto che – continua l’accusa – c’era stato pure bisogno di contabilizzare: su un’agendina sequestrata, accanto a ogni lavoratore compare il numero delle giornate lavorate. Ma di fronte a un simile degrado, com’era possibile che i braccianti non si ribellassero? Una spiegazione, per la procura, sta in quanto dichiarato proprio da uno dei lavoratori stipati nel casolare di Bagnara: «Sono in una situazione come prigioniero – aveva detto agli inquirenti – mi danno quel tanto che basta per sopravvivere e io non posso fare altro che continuare a lavorare. Se potessi, me ne andrei subito: ma «Il reclutatore «mi farebbe terra bruciata attorno, non lavorerei più. Se lui sapesse che ho detto la verità, sarei in pericolo e lo sarebbe anche la mia famiglia in Pakistan».

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La Flai-Cgil, commentando la notizia ha affermato trattarsi di «un caporalato, quello emiliano romagnolo, come confermato dall’operazione condotta dalla Squadra Mobile di Forlì, che si esercita tramite il meccanismo dell’appalto. Ovviamente appalti illeciti, privi dei requisiti previsti dalla legge, che consentono ingenti evasioni fiscali e contributive e deresponsabilizzano i committenti. Un meccanismo che, oltre a sfruttare e sottopagare i lavoratori, genera concorrenza sleale fra le imprese.
Ancora una volta siamo purtroppo in presenza di cosiddetti “imprenditori”, che agendo per il puro arricchimento, non hanno nessun scrupolo nel violare i più elementari diritti, riducendo i lavoratori ad uno stadio di schiavitù, legittimando condotte criminali».

Come Ravenna in Comune ribadiamo dunque l’esigenza di contrastare in ogni modo lo sfruttamento del lavoro. In agricoltura, come negli altri settori. Non fa un buon servizio chi, a qualunque titolo, sdogana il concetto di una presunta superiore necessità di mandare manodopera nei campi rispetto alla tutela dei diritti rappresentati dalle regole, dai contratti e dalla verifica del loro rispetto. No, non fa un buon servizio il Presidente della nostra Regione quando scambia il reddito di cittadinanza, cioè una misura di contrasto della povertà, con il corrispettivo per un lavoro contrattualizzato. Disseminando questi concetti si prepara il terreno al raccolto necessariamente conseguente: lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori. Attraverso il caporalato, che è la forma più eclatante. Ma anche con le altre forme di lavoro irregolare attraverso le quali i nostri campi vengono coltivati.

Come il Sindacato, anche noi sosteniamo che parlare di schiavitù nei campi sia utilizzare, purtroppo, la terminologia più vergognosamente corretta. Anche nel Ravennate.

#MassimoManzoli #RavennaInComune #Ravenna #caporalato #agricoltura

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Bonaccini: chi ha reddito di cittadinanza può lavorare nei campi. La proposta del governatore dell’Emilia Romagna. ”Oggi le aziende agricole ci chiedono come trovare lavoratori che vadano a raccogliere la frutta e la verdura nei campi, chi prende il RdC può cominciare a restituire quello che prende’

Sorgente: Bonaccini confonde retribuzione con reddito di cittadinanza

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Lotta al Caporalato. CGIL Flai ER: bene l’azione repressiva ma serve anche quella preventiva

Sorgente: Flai-Cgil: il caporalato è schiavitù!

One comment to “SCHIAVITÙ NEI CAMPI?”
  1. Sono 20 anni che il “palazzo” fa finta di non capire (quando c’è il centrosinistra) e non vuole fare quando ci sono altri;
    cosa c’è di più semplice che la “concessione” del permesso di soggiorno a chi viene “beccato” mentre lavora? Non dimostra la sua volontà di garantirsi reddito con attività socialmente utili ? Ho letto che in futuro ricorreranno alla intelligenza artificiale per predire la condotta del detenuto rilasciato dopo la pena…auguri; ma in attesa di questi “viaggi” sulla IA , perchè non usare la intelligenza naturale prima della artificiale ? Allora il problema è che il lavoro nero e lo schiavismo sono voluti e non accidentali.

    Vito Totire , medico del lavoro

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