I COSTI UMANI DEL LAVORO NON SONO SOSTENIBILI

Oggi e martedì prossimo l’Unione Sindacale di Base ha proclamato 48 ore di sciopero del settore industriale in Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna. Sono le quattro regioni per le quali Confindustria pretende dal Governo “nel breve periodo” la cessazione di ogni sospensione di attività, chiedendo “di uscire dalla logica dei codici ATECO, delle deroghe e delle filiere essenziali a partire dall’industria manifatturiera e dai cantieri”. Reclama anche “un pacchetto di misure di finanziamento a fondo perduto che supportino gli investimenti delle imprese nella sicurezza”, altri soldi insomma, per tutta l’industria. “Le aziende sicure sono tutte uguali” dichiara Confindustria.

Lo sciopero, afferma l’USB, è allora “una risposta di lotta immediata contro l’arroganza criminale di Confindustria che in queste regioni ha richiesto di anticipare la ‘fase due’ con la riapertura immediata delle imprese. […] Mai sazia, ora la Confindustria minaccia l’intero paese e pretende la riapertura generalizzata della produzione e chiede deroghe alle misure di sicurezza, mettendo così in pericolo milioni di lavoratrici e lavoratori e l’intera popolazione. Un atteggiamento criminale che mette al primo posto il profitto con l’evidente conseguenza di dare nuovo slancio all’epidemia ancora in corso per gli assembramenti che si avranno sia nei luoghi di produzione sia nei mezzi di trasporto”.

A Ravenna, deroghe a parte, sono circa 27 mila le imprese con i codici ATECO che consentono loro di operare e circa 20 mila quelle che dovrebbero essere ferme. Su scala nazionale, oltre alle aziende autorizzate per decreto tramite i codici ATECO, ci sono 71 mila aziende “in deroga”, cioè che si sono autocertificate come essenziali per poter continuare a produrre e di queste il 67% sono in Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna.

Ieri il Governo ha sentito sia i Sindacati che Confindustria, lasciando intendere che, probabilmente, non consentirà ancora lo sblocco di tutte le attività alla scadenza dell’attuale decreto di sospensione della produzione. Probabilmente si avrà comunque un allentamento delle restrizioni per alcune attività.

Come Ravenna in Comune auspichiamo che l’atteggiamento del Governo nazionale e delle amministrazioni locali, sia a livello comunale che regionale, sia diverso dall’assoluta acquiescenza “al padrone” che ha portato la Lombardia a mantenere aperte al virus, sino all’ultimo, aree a forte industrializzazione per non penalizzare i profitti. Certi atteggiamenti ci ricordano altri tempi, come quelli raffigurati nella foto diffusa ieri da Il Resto del Carlino. Si era nel 1967 nel porto vecchio di Ravenna, quando il lavoro poteva svolgersi senza le preoccupazioni ed i costi delle dotazioni di sicurezza. Costi anche umani, come quelli pagati in Lombardia. Come Ravenna in Comune pretendiamo che quei tempi siano finiti.

#MassimoManzoli #RavennaInComune #Ravenna #Covid19 #lavoro #Confindustria

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