VOGLIAMO UNA GESTIONE SOLO PUBBLICA DEL TRATTAMENTO FANGHI DEL CANDIANO

Da una decina d’anni a Ravenna si parla di qualcosa che ormai credevamo fosse una sorta di animale mitologico: l’impianto di trattamento dei fanghi del porto. In linea di principio è un impianto indispensabile per una manutenzione in continuo dei fondali che non intasino immediatamente ogni spazio disponibile come avvenuto nel passato. In linea di principio non possiamo che essere favorevoli. Ora, finalmente, sembrerebbe che si voglia passare dalle parole ai fatti.

Ma i problemi, come spesso accade, intervengono proprio quando si passa dall’ordine dei principi a quello dell’attuazione. Ne parla il Corriere Romagna in un suo articolo (“Impianto recupero fanghi: «Dati carenti». Acqua e ambiente, chieste nuove analisi”, Alessandro Montanari, 22 agosto 2021), mettendo in fila i problemi. Quanto meno quelli sollevati in sede regionale.

“L’Autorità portuale e i progettisti, per un esito positivo della Valutazione di Impatto Ambientale, dovranno produrre molti documenti. Lo chiede la Regione nell’atto che conclude la prima fase di analisi: «La documentazione presentata in fase di istanza e i chiarimenti forniti risultano carenti per numerosi aspetti sostanziali sia dal punto di vista progettuale che ambientale; allo stato delle verifiche condotte si ritiene non vi siano elementi preclusivi all’intervento proposto fatti salvi gli esiti positivi legati alla variante urbanistica e alla Valutazione d’Incidenza Ambientale». Sarà quindi il passaggio della Via ad essere decisiva”.

Il primo problema sorge a causa della scelta di allargare il campo di azione dell’impianto. Se ne vuol fare un elemento di business, affidandolo ad un gestore che possa effettuare il trattamento di fanghi provenienti anche da altre realtà portuali oltre che dai dragaggi dello scalo ravennate. Un po’ come avviene con le discariche in mano ad Hera per altre tipologie di rifiuti solidi. Dopotutto, anche i fanghi costituiscono un rifiuto. E quindi una possibile fonte di guadagno. A dispetto delle indagini andate avanti per anni sulle casse di colmata della penisola Trattaroli e conclusesi proprio recentemente in un nulla di fatto.

“Al momento però, come spiegato dal Comune, la pianificazione dell’area (la cosiddetta area ex Carni, a poche centinaia di metri dalla piallassa Piomboni) non permette di ricevere sedimenti da altri porti. Servirà quindi una richiesta di variante degli strumenti urbanistici comunali per permetterlo”.

Un secondo problema sorge dall’impiego di acqua dolce per il trattamento dei fanghi. La quantità necessaria potrebbe venire ridotta “qualora il materiale trattato che cessa di essere rifiuto «venga utilizzato per riempimenti o ripascimenti» in aree «con livelli di salinità del suolo e della falda compatibili». In ogni caso il lavaggio dei fanghi richiederà moltissima acqua dolce ed è stata esclusa sin dalla presentazione del progetto la possibilità di emungerla dalla falda”. Quella al momento prevista è una quantità enorme: “3.300 metri cubi di acqua dolce al giorno, pari a 3,3 milioni di litri”.

“Gli enti hanno chiesto precisazioni rispetto a questo aspetto. L’acqua verrà poi scaricata, naturalmente dopo la depurazione, nel Candiano. Per la Via servirà un bilancio dei consumi idrici che dettagli quindi dove verrà presa l’acqua dolce per il lavaggio”.

Infine il terzo problema avanzato ha a che veder con la localizzazione dell’impianto. Infatti quella chiamata “area ex Carni” è un ampiamento dell’area portuale dentro la piallassa Piombone, proprio al confine con l’area naturalistica di cui, fino all’ultima variante, faceva parte. “Vero che l’impianto è al suo esterno ma il Parco del Delta «ha rilevato che sulla base della documentazione presentata non è possibile ad oggi valutare la fattibilità/sostenibilità ambientale del progetto”.

“Pertanto a corredo della documentazione» dovrà «essere presentato uno studio di incidenza ambientale».

Come Ravenna in Comune, proprio perché “in linea di principio è un impianto indispensabile” e proprio perché ad oggi il progetto è ancora in via di definizione, ci sembra opportuno contribuire al ragionamento per cercare di superare i problemi emersi.

Va considerato che l’impianto verrà realizzato con ingenti risorse pubbliche. E che ulteriori risorse economiche dovrebbe accollarsele l’Ente porto per il lavaggio dei “propri” fanghi. Dunque, perché dovrebbe trasformarsi in occasione per fare affari qualcosa che è di fatto sostenuto integralmente dal “pubblico”? Anche gli eventuali fanghi provenienti da altri porti, del resto, dovrebbe esserci l’intervento “pubblico” di altre autorità portuali. Questa tra l’altro non è affatto una necessità progettuale quanto piuttosto una scelta dell’autorità Portuale. Riporta il Corriere: «La scelta di trattare anche fanghi di altri porti dell’Adriatico, e non solo quelli del dragaggio del Candiano, è stata fatta, come spiegato in sede di conferenza dei servizi, per rendere economicamente sostenibile. Dovrà essere infatti individuato un soggetto gestore dell’impianto”. Economicamente sostenibile, in questo caso, significa produttivo di guadagno per il privato. Non affidandolo ad un privato e quindi riservando l’impianto agli usi per i quali è sempre stato pensato, le esigenze manutentive del nostro scalo, verrebbero meno o si ridimensionerebbero molti dei problemi citati.

Verrebbe infatti meno il problema rappresentato dal divieto di trattamento di fanghi di altri porti stabilito dagli strumenti urbanistici. Inoltre, con meno fanghi da trattare, si ridurrebbe a dimensione accettabile quello che ad oggi è previsto come uno spreco indecoroso. 3.300 metri cubi di acqua dolce al giorno, dovunque sia prelevata, per una immissione nelle acque salate portuali, non possono nemmeno prendersi in considerazione. Non si capisce come sia possibile anche solo ipotizzare una cosa di questa entità. La riduzione a quantità sostenibili porterebbe l’ulteriore beneficio di un impatto minore rispetto alla pialassa del Piombone che, va ricordato, ospita un ecosistema in un ambiente di acqua salata. Per quanto non figuri ancora tra i problemi sollevati in sede regionale, si pone l’ulteriore questione della logistica dei fanghi di altre realtà portuali. Come arriverebbero all’impianto? Via mare o via terra? Sicuramente via terra, ossia camion, sarebbe comunque il modo di trasporto a fine ciclo: più è elevato il quantitativo, dunque, più è elevato il numero di viaggi/camion che impatterebbero sul nostro territorio. Va ricordato che già devono essere messi in conto i 150mila viaggi di camion occorrenti solo per far partire i lavori del nuovo porto calcolati dal Presidente dell’Ente Porto.

Dunque, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che appaiono indispensabili, come Ravenna in Comune sosteniamo con forza una gestione pubblica dell’impianto di trattamento che riguardi i soli fanghi del porto di Ravenna.

[nella foto di Massimo Fiorentini: una draga in azione nel porto di Ravenna]

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Impianto recupero fanghi: «Dati carenti». Acqua e ambiente, chieste nuove analisi

Fonte: Corriere Romagna del 22 agosto 2021

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