I VIGILI DEL FUOCO: “RAVENNA È IL COMUNE PIÙ RISCHIOSO D’ITALIA MA LA POLITICA NON CI ASCOLTA”

Continuiamo ad interessarci degli aspetti legati alla presenza, nel Comune di Ravenna, di 25 impianti classificati come a rischio di incidente rilevante di tipo “Seveso”. Il tema è stato recentemente affrontato anche in Consiglio Comunale attraverso un Question Time proposto dal Consigliere Margotti del PD alla Giunta. Questo il titolo: “Prevenzione e monitoraggio di eventi pericolosi alla luce dei recenti avvenimenti nei porti di Ancona e Beirut”. Ha risposto l’assessore Cameliani rassicurando sul puntuale rispetto da parte dell’insediamento Yara delle norme che dovrebbero impedire, nel porto di Ravenna, situazioni come quelle viste in Libano. Come ormai noto, infatti, nonostante le iniziali smentite, anche a Ravenna vi sono depositi di nitrato d’ammonio come a Beirut.

Quella che è mancata nelle parole di Cameliani è la presa in considerazione della possibilità che qualcosa possa andar storto al di là del pur fondamentale rispetto delle norme. E delle conseguenze che questo potrebbe avere in un contesto denso di aziende ad alta pericolosità come quello del porto e del petrolchimico dove si trovano quasi tutti i 25 impianti a rischio ravennati. Questo, secondo noi, dovrebbe portare a una particolare attenzione a quanto accade in quest’area, molto prossima sia alla città di Ravenna che agli abitati di Marina di Ravenna e di Porto Corsini. Un’area che, invece, è quasi lasciata a sé, come se il distretto industriale di Ravenna fosse su un pianeta diverso. L’Amministrazione dovrebbe invece porsi un programma di progressiva agevolazione di investimenti che riducano detto rischio nel tempo incrementando invece la valorizzazione del distretto: dalle energie rinnovabili alle plastiche “verdi” alla ricerca, ecc. ecc. Sia il ruolo di attenzione che quello di buona amministrazione sono invece mancanti, al punto che nessuno si è preoccupato di riferire alla cittadinanza cosa possa significare in termini di incremento del rischio l’annunciata espansione ad un’isola del petrolchimico dell’impianto portuale Alma Petroli, già di per sé di classe “Seveso”.

In quest’ottica ci sembra importante riportare ampi stralci di un’intervista pubblicata su Setteserequi ad un esperto del settore, il vigile sindacalista Marino Pederzoli che vanta una delle più importanti anzianità di servizio in Italia e che, a Ravenna, ha lavorato per gran parte dei 40 anni di attività (Ravenna, parla il pompiere sindacalista tra i più “anziani” d’Italia: “Dal 2015 abbiamo una partenza in meno, la politica non ci ascolta”, di Federica Ferruzzi):

Pederzoli, partiamo dall’inizio, diceva che è «figlio d’arte»…

«Mio padre e mio fratello sono stati pompieri come me, la mia non è stata una scelta difficile e ponderata, come invece può essere stata per altri. Al quinto anno delle superiori ho chiesto di poter fare l’anticipo di militare per essere sicuro di riuscire a partecipare al concorso e mettermi nelle condizioni di entrare. Di lì a breve uscì effettivamente un bando a cui partecipai diventando vigile del fuoco il primo marzo 1983. Successivamente, mentre lavoravo, ho conseguito la maturità. Il primo incarico è stato a Lugo, all’epoca si concorreva per sedi provinciali, all’età di 22 anni. Come prima cosa feci domanda per conseguire la patente nautica per poter guidare le motobarche, allora c’era un distaccamento minimo gestito dalla sede centrale».

Distaccamento che nacque ufficialmente dopo la tragedia dell’Elisabetta Montanari…

«La svolta del distaccamento portuale nasce col dramma del 13 marzo ‘87: di lì ad un anno e mezzo, grazie ai mutati orientamenti politici e della nostra amministrazione centrale, nacque un vero distaccamento con tanto di personale terrestre. Fino al 2015 quella sede è funzionata sia come lavoro operativo a terra, con camion, sia in ambiente marino grazie alla presenza di motobarche. La zona di competenza erano la Darsena, tutti i lidi fino al confine con Ferrara e si contavano oltre 1.300 interventi all’anno solo di terra».

Poi cos’è successo?

«Il comandante che arrivò nel 2015 eliminò la partenza da terra mantenendo il personale nautico. Negli anni assistiamo alla commemorazione della tragedia, che trovo anche corretta, ma lo spirito con cui la si fa non è quello giusto. Sembra una cosa da fare e basta, ma nessuno si ricorda di quello è successo».

Lei c’era, cosa ricorda?

«Arrivammo con un Fiat Om160, una macchina di quei tempi, con la squadra al completo, di solito tutti brevettati nautici o motoristi. Ricordo che si vedeva la colonna di fumo in lontananza. Io portavo la barca: giungemmo in banchina, all’interno dell’invaso. Dentro la gasiera c’erano più ditte al lavoro e questa fu una di quelle anomalie che hanno prodotto il danno. Vede, si facevano lavori contemporaneamente che, normalmente, non si sarebbero potuti fare: alcuni usavano la fiamma libera in ambiente chiuso, mentre altri pulivano le casse dove c’era il propellente. Un ragazzo, sotto, raschiava, l’altro, dall’alto, puliva. Uno l’ho tirato fuori io: l’Elisabetta Montanari era una nave gasiera, aveva rivestimenti in vetroresina, materiali che, quando prendono fuoco, emanano esalazioni cianotiche. È una magra consolazione, ma questo significa che chi era presente non si accorse di quanto stava succedendo. Oltre a lui estraemmo altre due persone, ma sul momento non ci rendemmo conto della portata dell’evento. Mentre sei in soccorso sei proiettato a fare il tuo lavoro, il resto viene dopo, quando finisce tutto. I segni rimangono, si fa fatica a dimenticare, le ferite si chiudono difficilmente».

E a livello politico queste cose, a volte, corrono il rischio di diventare una bandiera…

«La politica, in generale, cerca comunque di “appropriarsi” di questi accadimenti. L’uomo, di indole, fa presto a dimenticare, e se si mette insieme l’uomo che dimentica facilmente con il politico, ci si ritrova a fare commemorazioni per dare sollievo ai familiari delle vittime, ma non si pensa davvero alla comunità e alla sicurezza. E i fatti lo dimostrano: la chiusura del distaccamento portuale nel 2015 ha sancito l’abolizione della seconda partenza. Il nostro è il comune più rischioso d’Italia perché qui ci sono molte aziende a rischio di incidente rilevante, ma c’è una sola partenza. Ci sono comandi che, pur non avendo particolari condizioni di rischio, hanno molto più organico di Ravenna, dove invece c’è un porto industriale. I comandanti che si sono avvicendati nel tempo hanno avuto fortuna […]».

[nella foto: intervento dei Vigili del Fuoco nella zona industriale di Ravenna, in via Baiona, per lo spegnimento di un grosso incendio il 31 agosto 2019]

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Ravenna, parla il pompiere sindacalista tra i più “anziani” d’Italia: “Dal 2015 abbiamo una partenza in meno, la politica non ci ascolta”

Fonte: Setteserequi del 3 ottobre 2020 Disinteresse per i rischi. Così i VVFF

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Margotti (PD): “Alla luce della tragedia di Beirut, Ravenna è sicura?”

Fonte: RavennaWebTv dell’1 settembre 2020 Rischio Beirut. Question Time del PD

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