RAVENNA COME RIBOLLA?

Ribolla : ricordiamo la strage dei minatori del 4 maggio 1954!

Per un coordinamento, dal “basso”, tra le comunità locali colpite dalle stragi del lavoro nocivo

Una delle importanti iniziative della Bottega del Barbieri è quella delle “scor/date” che ha la funzione di contrastare le amnesie politiche, sempre riprovevoli, a differenza di quelle su base organica o psicologica che sconfinano nel fisiologico (vecchiaia) o in meccanismi di rimozione che possono anche essere (non sempre) utile autodifesa. La “scordata” del 4 maggio 1954 è forse diversa e ancora più sepolta nella memoria, rispetto ad altre, in particolare per chi ha vissuto lontano dalla Toscana e da Grosseto: è un evento che va ripescato da quella forma di oblio che offende la coscienza di chi ha a cuore la giustizia e il rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In realtà nella coriacea Bottega del Barbieri il tragico evento non è affatto sconosciuto, essendo stato richiamato da un chiaro articolo di Davide Lifodi del 29.9.2010. Le amnesie del passato gettano peraltro una sinistra ipoteca anche sul futuro approfondendo il solco della triste tendenza a “dimenticare”: ieri la strage di Ribolla, domani quella di Modugno (Bari) il cui quinto anniversario (tutti i precedenti sono stati sempre super-rimossi) ricade il 24 luglio 2020.

La strage di Ribolla (frazione del comune di Roccastrada, provincia di Grosseto ) si consumò nel pozzo nominato Camorra, nelle viscere di una terra depredata dalla lignite prodotta dalla natura nei secoli. Pur consumatasi sotto terra fu una strage chiara come il sole: non solo prevedibile ma ampiamente prevista. Molti sapevano che dopo due giorni di festa e di pausa lavorativa il grisou si sarebbe accumulato, sarebbe salito oltre quella concentrazione nell’aria che rende materialmente possibile la esplosione. Dalle cronache dell’epoca emergono alcune ipotesi sulla dinamica della strage. Scartata assolutamente ragionevolmente quella della imprevedibilità del rischio, sono state registrate due “spiegazioni”: o le prove sulla concentrazione del grisou non sono state fatte o sono state eseguite, per incuria, in maniera errata.

Torna alla mente la strage di Ravenna del 13 marzo 1987, preceduta da una dichiarazione di ambiente gas-free fatta da un consulente del datore di lavoro della Mecnavi, dichiarazione che dette il via libera all’uso della fiamma ossidrica, dunque, in rapida successione, alla strage. I disperati testimoni sopravvissuti alla strage di Ribolla si sono posti alcune domande. Lo strumento tecnico per la misura (lampada Davis) esisteva: non fu usato o fu usato “male” come a Ravenna? Più anticamente i minatori usavano i canarini per percepire quel che il loro olfatto non era in grado di registrare; c’è memoria, anche molto recente, di questo (e anche purtroppo di scoppi di grisou, meno mortiferi, anche in E-R, appennino bolognese 2006).

Che l’ambiente nel pozzo Camorra sia stato monitorato o no, la sintesi del ragionamento/interrogativo è quella proposta da Amadeo Bordiga e da Oscar (le notizie derivano da una ricostruzione a cura di Laura Maggi che, a sua volta, attinge a documenti messi a disposizione da Alessandro Pellagatta). La sintesi dunque: la Montecatini e il sistema capitalistico grondano di sangue operaio: attorno alla strage è disperazione. Un articolo di Gianluca Monastra sul settimanale della Repubblica (19 luglio 2019) richiama alcune fonti fondamentali (I minatori della Maremma, di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola ) e alcuni elementi del clima e delle condizioni sociali dell’epoca: le malattie (anche prima della strage: silicosi, pleuriti), la provenienza territoriale dei lavoratori (molti immigrati dalla Calabria e dalla Sicilia, non dall’Africa o dall’est Europa come sarebbe oggi, ma la “contraddizione sociale” è la stessa), il clima psicologico (si respirava polvere e paura), lo strazio ai funerali (le vedove piangevano in dialetti diversi), lo shock degli operai superstiti che preferirono emigrare verso i lavori di traforo del Monte Bianco, per cercare di dimenticare.

Pare che la regione Toscana abbia preannunciato una iniziativa: rendere fisso e formale il ricordo della strage, entro la fine della legislatura; “un po’ tardi” ricordarsi di questo, ma ogni polemica, di fronte al ricordo della strage , sarebbe fuori luogo. Anche in vista dell’anniversario della strage di Modugno (produzione di fuochi artificiali , in prevalenza, per la festa del “santo”!), proponiamo alle comunità locali colpite storicamente dalle stragi del lavoro nocivo: diamoci un coordinamento dal basso non per cerimonie, esibizione di gonfaloni o esercitazioni retoriche; ma per creare sinergie e agire per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro; un coordinamento agile, per via informatica (dopo il tirocinio del lavoro da casa di questi mesi).

Pensiamo (ma si tratta di un promemoria tutt’altro che esaustivo dal punto di vista storico) e solo a voler restare in Europa: a Ribolla, Marcinelle (Belgio), Bologna (amianto Ogr delle ferrovie e Casaralta), Viareggio (strage ferroviaria), Casale Monferrato (Eternit), Ravenna (Mecnavi e amianto Enichem), Modugno (pirotecnica Bruscella), Torino (Tyssenkrupp), Sesto s. Giovanni (amianto Breda) ma anche Genova (ponte Morandi) e i siti colpiti da eventi sismici che sono anch’essi vittima di una organizzazione del lavoro e della produzione che non ha tenuto conto della sicurezza, senza dimenticare, infine, i siti teatro di stragi da coronavirus di lavoratori della sanità e di persone anziane (dalla Val Seriana al Pio Albergo Trivulzio), tutti vittime di omissione delle misure di prevenzione.

Il rischio è differente nei diversi eventi storici (grisou o coronavirus) ma la malattia è comune , non si cura col vaccino, si cura affermando il primato del diritto alla salute e alla vita prima del profitto.

Dopo tanta deprivazione sociale e sensoriale da coronavirus, un ricordo, un gesto un minuto di silenzio per i 43 minatori uccisi a Ribolla. 

Vito

rete per l’ecologia sociale (circolo “Chico” Mendes, AEA-centro Francesco Lorusso) via Polese 30 40122 Bologna

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