Bijî Serok Apo

Oggi, 15 febbraio, ricorre il venticinquesimo anniversario del rapimento di Abdullah Öcalan, detto Apo, da parte del regime turco, successivamente condannato a morte con pena commutata all’ergastolo che da allora sconta in assoluto isolamento nell’isola prigione di İmralı.

Ravenna in Comune organizzò già nel gennaio 2016, a pochi mesi dalla propria nascita, una importante iniziativa assieme ad alcuni membri della Carovana per Kobane e ad esponenti delle comunità curde in Italia. Riportiamo dal volantino dell’iniziativa: «Le popolazioni del Kurdistan siriano e turco negli ultimi tempi hanno iniziato un importante processo di emancipazione che vuole ridefinirne la condizione. Le teorie del leader Abdullah Ocalan, le pratiche di autogoverno, ma anche un rivoluzionario approccio alle questioni di genere, insieme alla millenaria eredità storica e culturale, sono alla base della lotta di un popolo che intende affermare le basi per una nuova convivenza universale». Dunque, nonostante da un quarto di secolo Abdullah Öcalan, leader e fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), non metta piede fuori dall’İmralı F Type High Security Closed Prison, appositamente costruita per la sua detenzione, continua ad essere ispiratore di movimenti, azioni ed iniziative.

L’anniversario odierno è particolarmente doloroso in quanto riconduce alla memoria uno dei tanti episodi di cui l’Italia porta responsabilità e vergogna. Öcalan aveva chiesto infatti asilo politico dopo essere arrivato in Italia nel novembre 1998 ma gli fu concesso solo un anno dopo quando già era in carcere in Turchia. Ripercorriamo la storia che precedette il suo rapimento pubblicando sul nostro sito alcuni passi del libro di Laura Schrader Berxwedan, “La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di Erdoğan” (Edizioni Punto Rosso, 2023).

Bijî Serok Apo. Lunga vita Apo.

[Nella foto: il carcere dell’isola prigione turca di İmralı nel mar di Marmara dove Abdullah Öcalan è rinchiuso da un quarto di secolo]

#RavennainComune #Ravenna #Apo #curdi

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La solitudine dei kurdi e di Öcalan e le responsabilità dell’Italia

Novembre 1998. La passione di un popolo esplode di fronte al mondo. Tra musica, canti, colori, in una vibrante scenografia di bandiere rosse e di ritratti di Apo, piazza Celimontana a Roma diventa piazza Kurdistan. Il 12 novembre Abdullah Öcalan è sbarcato a Fiumicino proveniente da Mosca con un volo Aeroflot, accompagnato dal deputato di Rifondazione Comunista Ramon Mantovani. Dopo una sosta in una villa di Ostia è stato trasferito al Policlinico militare del Celio.

In Turchia si scatena una gigantesca ondata di odio verso tutto quello che è italiano orchestrata dai Lupi Grigi e dalla destra, i rapporti diplomatici sono al collasso, si boicottano i prodotti italiani, compresi quelli fabbricati in Turchia e Ankara minaccia di troncare tutti i rapporti commerciali e industriali, tra i quali le lucrose commesse di armamenti, come gli elicotteri da guerra Augusta, impiegati contro i kurdi. Il 25 novembre è in programma a Istanbul la partita Galatasaray-Juventus. Gianni Agnelli chiede sia giocata in campo neutro, i giocatori, capeggiati da Zidane, rifiutano di partire, mentre i giornalisti ammettono che faranno di tutto per non rivelare di essere italiani. I Lupi Grigi intensificano il clima di ostilità e un’emittente televisiva arriva a diffondere un fotomontaggio di Öcalan in maglia bianconera. La Uefa si limita a spostare la partita al 2 dicembre. La presenza di 20 mila agenti di polizia e la rapidità della trasferta juventina scongiurano i temuti incidenti. Öcalan, che da ragazzo era tifoso del Galatasaray, assiste alla partita in televisione e alla fine commenterà di essere per la prima volta d’accordo con i cronisti che definiscono deludente il match, terminato con 1-1.

Decine di migliaia di kurdi arrivano da ogni parte del mondo per sostenere la richiesta di asilo politico di Apo. La Comunità kurda in Italia, presieduta dal medico kurdo-iracheno David Issamadden e composta in maggioranza da kurdi provenienti dall’Irak e dall’Iran, si schiera compatta a favore di Öcalan; i leader degli altri partiti di tutto il Kurdistan, escluso il Pdk-Irak, mandano messaggi in cui chiedono l’asilo politico per il presidente del Pkk. Grandi manifestazioni kurde avvengono contemporaneamente in tutto il mondo, dall’Australia all’Iran, da Israele all’Irak, dalla Germania al Libano, dagli Stati Uniti alla Siria. Öcalan, presidente del Pkk non è il leader di tutti i kurdi, ma tutti i kurdi, indipendentemente dalla loro origine e dalle convinzioni politiche riconoscono in lui il simbolo della loro speranza di pace e giustizia.

Ancora una volta il Pkk nell’agosto 1997 aveva dichiarato e rispettato una tregua unilaterale nel corso della “sporca guerra”, inutilmente cercando la pace. Nel settembre 1998 Washington aveva convocato i due leader del Bashur, Massud Barzani del Pdk, il Partito democratico del Kurdistan, alleato di Baghdad e di Ankara, e Jalal Talabani dell’Upk, che sostiene il Pkk. Il segretario di Stato Madleine Albrigh aveva ingiunto a entrambi di combattere il partito di Öcalan. Nessun problema per Barzani, già fruttuosamente impiegato dalla Turchia contro la guerriglia del Pkk; quanto a Talabani, non è possibile sottrarsi al ricatto, almeno ufficialmente: la guerra del Golfo ha ridotto il Kurdistan iracheno a un’isola tagliata fuori dal mondo, sottoposta a doppio embargo, dell’Onu sull’Irak e di Baghdad contro i kurdi, affamata e irraggiungibile dai convogli umanitari. Dopo l’Irak, arriva il momento di intervenire con la Siria. Ankara attraverso la diga Ataturk limita l’afflusso delle acque dell’Eufrate minacciando di carestia il paese confinante e ammassa le sue truppe alla frontiera, pronta all’invasione se Damasco non le consegnarà il leader kurdo. «Secondo gli osservatori, l’escalation con la Siria fa seguito all’accordo di Washington fra i leader kurdi per tenere fuori il Pkk dal Nord Iraq, lasciando Damasco ultimo grande santuario dei ribelli kurdi di Turchia» riferisce un comunicato Ansa. Dopo tre settimane di assedio e quaranta giorni di negoziati il presidente siriano Hafez al Assad si piega e sigla un accordo in cui si impegna a porre fine ad ogni sostegno al Pkk, ma non consegna Öcalan, come pretendono Ankara e Washington.

Il 9 ottobre Öcalan lascia la Siria e dopo un approdo a Mosca, storica alleata di Assad, arriva in Italia. Il Parlamento russo aveva approvato con 299 voti la concessione dell’asilo politico a Öcalan ma il premier Primakov aveva rifiutato. Il presidente Yeltsin attende lo sblocco di prestiti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale, per i quali occorre il nulla-osta degli Uniti; i prestiti in seguito erano concessi. Öcalan è molto popolare in Grecia, ma a causa dei rapporti tesi tra Atene e Ankara, con il suo arrivo si profila un vero e proprio casus belli.

Rimangono gli altri paesi dell’Europa dei diritti. Da tempo la dirigenza del Pkk aveva saputo portare la causa kurda alla ribalta europea per ottenere la sua collaborazione ad avviare con la Turchia negoziati di pace e i sostenitori europei ritenevano che la presenza di Öcalan in un paese dell’Unione sarebbe stata utile a questo scopo. Da anni, parlamentari di vari paesi europei avevano iniziato più o meno riservati pellegrinaggi in Siria per incontrarsi con il presidente del Pkk, ed era stata messa a punto una graduale strategia rivolta alla pace. Attraverso una serie preliminare di iniziative come conferenze di pace, tregue unilaterali, risoluzioni europee e nazionali, assemblee del Parlamento del Kurdistan in esilio nelle sedi istituzionali di alcune capitali (L’Aja, Copenaghen, Vienna, Atene, Mosca) si sperava di convincere la Turchia a una soluzione politica della questione kurda. Una prospettiva che sembrava matura fin dal 1994, grazie all’esito della conferenza internazionale di Bruxelles.

Anche in Italia l’attivismo della sinistra aveva influito positivamente per la causa kurda. La risoluzione del 10 dicembre 1997 adottata all’unanimità dalla Commissione Esteri del Parlamento impegnava il Governo a riconoscere i diritti del popolo kurdo, compreso quello all’indipendenza. Pochi giorni dopo, alla fine di dicembre 1997 era approdata in Calabria la nave Ararat sbarcando centinaia di famiglie fuggite dai villaggi e dalle città distrutte, profughi accolti come fratelli dai cittadini di Badolato e Soverato e assistiti con forte senso di umanità. Dopo gli iniziali scivoloni del ministro degli Interni Giorgio Napolitano, che aveva parlato di “terroristi”, il Governo Prodi aveva riconosciuto a tutti il diritto di chiedere asilo. Era un fatto di grande rilevanza politica: per la prima volta il Governo italiano prendeva atto della guerra in Turchia contro il popolo kurdo. Non solo: il Presidente della Repubblica Scalfaro, nel messaggio di Capodanno, paragonava i profughi kurdi agli esuli italiani del fascismo. Mentre nel 1994, in ossequio ad Ankara, era stato vietato in extremis al Pkdw, il Parlamento del Kurdistan in Esilio, di riunirsi come programmato a palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, nel settembre 1998 la sala stampa di Montecitorio accoglieva una sua sessione. Numerosi parlamentari redigevano, insieme ai kurdi, una Carta d’intenti che, tra l’altro, stabiliva di portare la questione kurda all’attenzione dell’Onu e dell’Osce.

All’arrivo a Fiumicino Öcalan è arrestato in esecuzione di un mandato di cattura emesso da un giudice in Germania perché alcuni minori di cittadinanza tedesca si erano arruolati nel Pkk. Tuttavia il Governo tedesco non chiederà mai l’estradizione: si temono gravi disordini tra i due milioni di immigrati turchi e il mezzo milione di esuli e profughi kurdi. Ankara pretende con forza l’espulsione del leader ma per l’Italia è impossibile procedere all’estradizione verso i paesi che prevedono la pena di morte. Nel dicembre 1998 la Corte d’Appello di Roma stabilisce che Öcalan è un libero cittadino revocando la libertà vigilata e l’obbligo di dimora imposto il 20 novembre per ingresso irregolare in Italia e dichiara il non luogo a procedere per il mandato di cattura emesso dalla Germania.

Da fine ottobre è in carica il Governo D’Alema. Il Parlamento approva una risoluzione a favore dell’asilo politico. I ministri Dini, Scognamiglio e Fassino, ossequienti nei confronti di Ankara, si oppongono. Gli Stati Uniti, immediatamente intervenuti in sostegno di Ankara, si rendono conto che l’estradizione in Turchia è impraticabile e cercano altre vie. Il quotidiano Le Monde riferisce che «il 20 dicembre (1998) a Roma si attivano negoziati sotto l’egida americana. I turchi, comprendono che l’Italia non può accettare un’estradizione pura e semplice verso Ankara e propongono l’Albania. Ocalan rifiuta, perché Ankara ha eccellenti rapporti con Tirana. Gli italiani allora propongono Tripoli. Senza successo. Il dipartimento di Stato americano fa sapere che l’invio del capo terrorista in Libia costituirà un casus belli diplomatico». Tirana è un feudo di Ankara, la Libia di Gheddafi per il leader kurdo sarebbe un rifugio sicuro: è chiara l’intenzione di indirizzare Öcalan in un paese in cui potesse cadere in mano al nemico.

L’ingerenza americana si avverte perfino nel linguaggio del premier D’Alema, che all’inizio definisce Öcalan “il leader kurdo”, poi “il signor Öcalan” e infine approda a “il terrorista Öcalan”. Nella conferenza stampa di fine anno, il 23 dicembre, D’Alema, ammettendo che l’espulsione sarebbe giuridicamente impossibile, dichiara: «L’esito più probabile di questa vicenda è che Öcalan se ne vada spontaneamente dal nostro paese».

La decisione spetta però alla magistratura. Alla fine del 1998 gli avvocati italiani di Öcalan presentano al tribunale di Roma l’atto di citazione con la richiesta di dichiararne il diritto all’asilo a norma dell’art. 10 comma 3 della Costituzione perché in Turchia gli viene negato l’esercizio delle libertà democratiche. La presidenza del Consiglio dei Ministri si costituisce in giudizio opponendosi alla domanda; il tribunale ammette la partecipazione a favore di Öcalan dell’Asgi, Associazione Giuristi democratici di Torino e del Consiglio italiano per i Rifugiati. Con i tempi della giustizia italiana, il giudice monocratico Paolo De Fiore riconoscerà il diritto del leader all’asilo politico a norma dell’art. 10 comma 3 e 4 della Costituzione. Secondo i giuristi, una sentenza esemplare, emanata il 1° ottobre 1999.

Ma Öcalan il 15 febbraio era stato sequestrato a Nairobi e in giugno era stata emessa la sentenza che lo condannava a morte; in attesa dell’esecuzione era relegato nell’isola-carcere di Imrali, unico detenuto custodito da 400 di agenti. Inspiegabile l’epilogo dell’esperienza italiana del leader. Il 16 gennaio 1999 Öcalan lascia l’Italia dopo 65 giorni. […] Poco dopo la partenza di Öcalan, Massimo D’Alema a un giornalista che gli domandava se avesse notizie del laeder, rispondeva: «Non so dove sia, né francamente mi interessa».

Laura Schrader Berxwedan. La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di Erdoğan (Edizioni Punto Rosso, 2023)

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p align=”justify”>Fonte: Volere la luna dell’8 dicembre 2023 

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