
È tempo di aggiungere qualche variazione a quella narrazione che butta tutta la responsabilità del genocidio in corso in Palestina sul governo Netanyahu e sulla destra (a cui la stessa narrazione appiccica immediatamente l’aggettivo “estrema”). È un po’ come se tutta la responsabilità del genocidio che si sviluppò in Germania e nei Paesi occupati dall’Asse potesse ricadere esclusivamente sul cancellierato di Hitler e sui nazisti, liberando da ogni peso quella gran parte della popolazione tedesca ed europea che invece era assolutamente complice del crimine. È invece vera la complicità di gran parte degli Israeliani, di una buona fetta della comunità ebraica mondiale e anche dei tanti e delle tante che per interesse portano acqua al mulino del genocidio. Come da puntuale denuncia di Francesca Albanese, tanto per capirci.
Certo in Israele abbiamo anche figure luminose come Ilan Pappé, tanto per dirne uno, quindi guai a fare di tutta un’erba un fascio. Comunque la narrazione che va per la maggiore è quella che abbiamo riferito. Oggi vogliamo portare un caso italiano. Quello della Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) che non dovrebbe avere niente a che fare con Israele e con il genocidio palestinese in quanto si tratta dell’Ente rappresentativo degli ebrei italiani nei confronti dello Stato e delle Istituzioni italiane. Si autorappresenta in questa maniera: «L’UCEI tutela le tradizioni e la vita religiosa, sociale e culturale degli ebrei in Italia; coordina e sostiene l’attività delle singole Comunità Ebraiche, istituzioni tradizionali dell’ebraismo nel nostro Paese; promuove la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali ebraici».
Lo scorso 12 ottobre ha organizzato una “Giornata di studio e analisi in occasione dell’anniversario del 7 ottobre 2023” ottenendo per questo la grande sala del CNEL a Roma. Su questo evento, realizzato ad inviti a numero chiuso, si è acceso un faro solo dopo un’uscita della ministra Eugenia Roccella contestata dalla senatrice a vita Liliana Segre dopo aver detto che la finalità delle “gite” ad Auschwitz sarebbe stata quella di inserire l’antisemitismo all’interno di una precisa area, cioè il fascismo. E c’è da chiedersi in effetti perché negarlo? Di chi erano le leggi razziali se non del fascismo al suo apice?
Si tratta dello stesso evento in cui Incoronata Boccia, capo dell’ufficio stampa Rai, ha sostenuto che «non esiste una sola prova che l’esercito israeliano abbia mitragliato civili inermi». Peccato che nonostante il capillare lavoro di cancellazione sia fisica dei giornalisti che dei loro archivi, queste prove siano talmente tante da non potere essere cancellate da frottole come questa.
Non basta. Se sono state queste perle a richiamare l’attenzione, è stato tutto il convegno a venire sviluppato per glorificare Israele e il suo operato di sterminio. Scansando le critiche ed additando il nemico. Così Noemi Di Segni, presidente dell’UCEI: «Ci preoccupa questa Italia, specialmente quando sono le sue istituzioni – nazionali, locali, accademiche, sanitarie, religiose – a cedere coerenza e rigore». Che invita ad «arginare superficialità di appelli che diventano imperativi, boicottaggi, per capire che l’islam radicale è già qui dentro per annientare ebrei». E detta la linea ai Brunetta e Piantedosi esplicitamente esortati a: «fare recuperare all’accademia il decoro di ente di ricerca che dovrebbe difendere anziché disperdere, restituire alle piazze italiane quella regalità offuscata dal degrado di tendopoli e striscioni di odio, ai dibattiti televisivi la sfida tra menti colte che si sfidano per sviscerare il tema, per conferire cittadinanze e laure onorarie a chi ha superato prove di vita e condiviso saperi e cultura e non prediche di odio».
Non basta. C’è tanta beceraggine da far traboccare il vaso. Come viene ben riportata ieri da Il Fatto Quotidiano («“A Gaza funerali con le bambole”, “Non ho visto palestinesi dimagriti”, “C’è differenza di civiltà tra sganciare bombe e sgozzare”: ecco l’incredibile galleria degli orrori del convegno al Cnel» di Gisella Ruccia).
Ne riportiamo di seguito un estratto (l’integrale di seguito):
«Ad aprire i lavori, Davide Jona Falco, assessore alla comunicazione dell’Ucei, che ha parlato di “mondo alla rovescia”, accusando istituzioni e media di essersi “appiattiti su dati forniti da Hamas come se ottant’anni fa si fossero usate fonti naziste”. Per Jona Falco le università avrebbero “perso il ruolo d’eccellenza per il dialogo”, mentre “intellettuali e partiti si sono trasformati in sostenitori a senso unico della causa palestinese”.
La parola “genocidio”, evocata più volte dagli oratori per negarla, è stata definita da Ernesto Galli della Loggia “lo slogan più delirante di tutti”, frutto di un “nuovo entusiasmo antisionista” che avrebbe riportato l’Europa “all’accusa del sangue contro gli ebrei”. Della Loggia ha raccontato di aver “avuto dubbi” sulla risposta militare di Israele, ma di essersi convinto della sua necessità “di fronte all’odio cieco delle piazze”.
Pierluigi Battista ha parlato di “disfatta culturale della democrazia” e di “veleno penetrato dentro”, accusando accademici e rettori – tra cui Tomaso Montanari – di ‘ignoranza storica’: “Chi parla di genocidio palestinese compie una manipolazione evidente: non c’è nessun piano di annientamento del popolo palestinese. C’è questa mania di dire ‘genocidio’ per mostrificare Israele e dunque il popolo ebraico”.
Immancabili gli insulti contro Francesca Albanese, che non viene menzionata apertamente: “La mia grande preoccupazione è la disfatta culturale della cultura democratica che non ha saputo più dire nulla su questa vicenda del 7 ottobre e su questo esplodere di questo nuovo antisemitismo. È il suo totale e silente accomodamento, come sta accadendo fino a questi ultimi giorni, premiando con la fascia tricolore antisemiti dichiarati e acclarati che fanno del loro antisemitismo una professione. Non è la professionista dell’antisemitismo che mi colpisce ma chi la vuole premiare con una fascia tricolore”».
Ci domandiamo perché la popolazione italiana debba sostenere questi soggetti con le proprie tasse, visto che l’UCEI è destinataria dell’8 per mille e quindi anche del riparto delle mancate scelte. Perché dobbiamo dare soldi a ‘sta gente ospitata in una sala pubblica di un organo dello Stato per pronunciare frasi come “Albanese professionista dell’antisemitismo”, “Lucia Goracci da richiamare”, “Il Fatto e il Manifesto negazionisti e nazisti”? È del tutto evidente che l’UCEI non è un ente religioso come la Chiesa Evangelica Valdese o la Chiesa Evangelica Luterana. L’UCEI è un’organizzazione che cerca di condizionare la democrazia italiana ad assumere politiche favorevoli ad una nazione straniera.
Uno Stato, peraltro, responsabile di un genocidio. Infatti la Corte Penale Internazionale (CPI) ha appena respinto l’appello di Israele contro i mandati di arresto emessi nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant in relazione al genocidio di Gaza. La CPI ha stabilito infatti che esistono “ragionevoli motivi” per ritenere che Netanyahu e Gallant abbiano “responsabilità penale” per crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza.
Come Ravenna in Comune ha già detto: «non c’è nessuna guerra in Palestina. C’è un oppressore e c’è un oppresso. A chi debba andare il sostegno lo hanno compreso milioni di persone. Le Istituzioni si dimostrino all’altezza dei popoli che affermano di rappresentare.
Interrompiamo ogni legame con Israele. Facciamo di Israele il paria del mondo. E, intanto, sosteniamo la denuncia del Governo Italiano alla Corte penale internazionale per complicità con il genocidio».
#RavennainComune #Ravenna #Israele #Palestina
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“A Gaza funerali con le bambole”, “Non ho visto palestinesi dimagriti”, “C’è differenza di civiltà tra sganciare bombe e sgozzare”: ecco l’incredibile galleria degli orrori del convegno al Cnel
Molti dei passaggi più emblematici di questa maratona, durata quasi 10 ore, sono stati selezionati e pubblicati da Il Grande Flagello, su X: i video, rapidamente diventati virali, restituiscono meglio di qualunque resoconto scritto il tono del dibattito, tra dichiarazioni sconcertanti e frasi spiazzanti che spesso travalicano il confine tra l’opinione e l’offesa.
Ad aprire i lavori, Davide Jona Falco, assessore alla comunicazione dell’Ucei, che ha parlato di “mondo alla rovescia”, accusando istituzioni e media di essersi “appiattiti su dati forniti da Hamas come se ottant’anni fa si fossero usate fonti naziste”. Per Jona Falco le università avrebbero “perso il ruolo d’eccellenza per il dialogo”, mentre “intellettuali e partiti si sono trasformati in sostenitori a senso unico della causa palestinese”.
La parola “genocidio”, evocata più volte dagli oratori per negarla, è stata definita da Ernesto Galli della Loggia “lo slogan più delirante di tutti”, frutto di un “nuovo entusiasmo antisionista” che avrebbe riportato l’Europa “all’accusa del sangue contro gli ebrei”. Della Loggia ha raccontato di aver “avuto dubbi” sulla risposta militare di Israele, ma di essersi convinto della sua necessità “di fronte all’odio cieco delle piazze”.
Pierluigi Battista ha parlato di “disfatta culturale della democrazia” e di “veleno penetrato dentro”, accusando accademici e rettori – tra cui Tomaso Montanari – di ‘ignoranza storica’: “Chi parla di genocidio palestinese compie una manipolazione evidente: non c’è nessun piano di annientamento del popolo palestinese. C’è questa mania di dire ‘genocidio’ per mostrificare Israele e dunque il popolo ebraico”.
Immancabili gli insulti contro Francesca Albanese, che non viene menzionata apertamente: “La mia grande preoccupazione è la disfatta culturale della cultura democratica che non ha saputo più dire nulla su questa vicenda del 7 ottobre e su questo esplodere di questo nuovo antisemitismo. È il suo totale e silente accomodamento, come sta accadendo fino a questi ultimi giorni, premiando con la fascia tricolore antisemiti dichiarati e acclarati che fanno del loro antisemitismo una professione. Non è la professionista dell’antisemitismo che mi colpisce ma chi la vuole premiare con una fascia tricolore”.
Dalle università al mondo Lgbt, il discorso si è allargato con Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, che ha accusato le università di essere tra i “peggiori luoghi di non riflessione” con particolare accento su quella di Bologna dopo la mozione di sospensione dei rapporti con atenei israeliani.
“Ci sono quei ragazzi che oggi manifestano in maniera totalmente inconsapevole, ma non per questo innocente – ha aggiunto – per una Palestina dal fiume al mare, per la difesa addirittura di Hamas. Le manifestazioni dei trans e dei movimenti Lgbt pro Palestina sono esempi di inconsapevolezza pericolosa. Non è Israele ad alimentare l’antisemitismo: è l’antisemitismo che spiega la lettura distorta di questa storia”.
Poi la perla che ha fatto indignare anche la senatrice a vita Liliana Segre: “Le gite scolastiche ad Auschwitz sono servite solo a ribadire che l’antisemitismo era fascista e basta”.
Il tema dell’antisemitismo ha attraversato molti interventi, spesso intrecciato con la denuncia dei media. Stefano Parisi, presidente dell’associazione Setteottobre, ha parlato di “propaganda di Hamas infiltrata nelle scuole, nei social, nei giornali”, accusando la stampa italiana di “pubblicare i bollettini di Gaza forniti da Hamas senza contraddittorio”.
Ha accusato la giornalista del Tg3 Lucia Goracci, senza nominarla, come esempio di “negazionismo del 7 ottobre”, chiedendo “perché la sua testata non l’abbia richiamata”.
E ancora: “Com’è possibile che un giornale come La Stampa sia ormai megafono di quella propaganda?”. Per Parisi “chi parla di Israele genocida è megafono di Hamas, e le radici di un futuro fascismo passano anche da qui”.
Sergio Della Pergola, demografo all’università di Gerusalemme, ha presentato un’analisi della stampa italiana nel range temporale che va dal 19 settembre al 9 ottobre 2025, parlando di “ipertrofia patologica” nella copertura di Gaza rispetto al conflitto tra Russia e Ucraina e di “linea negazionista” guidata da Il Fatto Quotidiano e il Manifesto, “con testi e vignette di stampo Der Stürmer”. Oltre a questo riferimento al settimanale tedesco nazista, antisemita e razzista, pubblicato dal 1923 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Della Pergola ha incluso anche La Stampa tra i giornali “mobilitati alla demonizzazione di Israele”: “Voci come Mancuso, Foa, Pappé col pugnale sguainato propongono un’esplicita demonizzazione di Israele e degli ebrei e un’implicita mobilitazione alla violenza e alla soppressione”. C’è da sbigottire perché questo pensiero è dedicato al teologo Vito Mancuso, la storica Anna Foa (monumento della ricerca storiografica sugli ebrei in Italia) e allo storico israeliano Ilan Pappè. “Le scelte editoriali – ha sentenziato lo statistico – riguardano momenti specifici come le proposte per il riconoscimento dello Stato palestinese, l’orgasmo prodotto dalla sgangherata armada (Global Sumud Flotilla, ndr), portatrice di ben scarsi aiuti umanitari, e la proposta Trump e la trattativa sulla conclusione del conflitto”.
Diversi e offensivi anche gli strali contro i media: “Un’indagine sulle reti televisive assegnerebbe al canale Nove il primo posto nella vergognosa quotidiana aggressione seguito da La7, da Rai News 24 e Rai 3. Sulle onde radiofoniche la Rai è ormai nettamente schierata. La rimozione forzata della realtà, il pensiero unico, sostitutivo – ha aggiunto – sono degni non di una stampa dignitosa e articolata, ma di una campagna concertata di propaganda, quasi di regime. Una grossolana manipolazione al senso unico dell’opinione pubblica riguarda le statistiche sul numero dei morti a Gaza. È senza precedenti lo spettacolo in cui tutti, dall’Onu ai media internazionali e locali, recepiscono e ripetono acriticamente cifre manifestamente problematiche se non aberranti”.
Raffica di insulti anche contro le università italiane, la rivista scientifica The Lancet, la scuola, la Cgil: “La lettura dei media denuncia un profondo degrado, un desolante effetto gregge, un’eclissi della ragione, un crollo di civiltà. Vediamo grandi quotidiani nazionali trasformati in bollettini aziendali, importanti manifestazioni culturali ridotte ad avanspettacolo. L’antica università – ha rincarato – trasformata in dopolavoro, la scuola tornata fabbrica di Balilla in divisa con stendardi, una squadra di ciclisti con la scritta Israel sulle maglie espulsa dal Giro dell’Emilia, Molinari censurato e la Goracci elogiata, la Cgil di Landini regredita alla Cgil di Luciano Lama che accompagnò la deposizione di una bara davanti alla sinagoga sul lungo Tevere due mesi prima del sanguinario attentato di Sheminì Atzeret”.
David Parenzo ha insistito sulla “nazificazione di Israele” operata dai media, ha accusato l’Onu di non accogliere i report di Un Watch, ong fortemente schierata con Israele e artefice di molte campagne anti-palestinesi su X. Successivamente, rivolgendosi al direttore della Stampa Andrea Malaguti, ha osservato ridacchiando: “Lo dico senza polemica, ma mi spiace che manchino gli amici del Fatto Quotidiano, evidentemente impegnati in altro”. Poi, molto ‘coerentemente’, ha precisato che “la polemica era riferita al Fatto, non a Malaguti”. Nel frattempo ha scherzato con Mario Sechi: “Alla parola Albanese è crollato un pezzo del Cnel”.
La critica alla stampa è diventata anatema con Incoronata Boccia, capo dell’ufficio stampa Rai, che ha invocato “vergogna, vergogna, vergogna” per la categoria, accusandola di essersi “piegata alla regia di Hamas” e chiedendosi “con quale faccia usciranno di casa il 27 gennaio” coloro che usano la parola genocidio.
“Stare dalla parte di Israele – ha detto – significa oggi stare contro la menzogna”. Poi il capolavoro: “Si è parlato spesso del cinismo e della spietatezza dell’esercito israeliano. Eppure non esiste una sola prova che l’esercito israeliano abbia mitragliato civili inermi”.
È il turno di Claudio Velardi, direttore del Riformista, che ha parlato di “bias e guerra cognitiva”: “Ci siamo abbuffati di bias in questi anni. Quindi genocidio, quindi bambini, quindi propal che poi sono pro Hamas, già questa sarebbe una correzione da fare. L’ultimo bias è dire che l’accordo di pace è di Trump: se non ci fossero state le poderose offensive militari di Netanyahu all’accordo non si arrivava”.
Poi, descrivendo la testata che dirige come un “giornaletto”, ha aggiunto: “C’ho un editore che mette dei soldi e li perde naturalmente per fare ‘sto giornale. Io posso fare il cazzo che mi pare, io ho fatto una scelta morale. I direttori dei giornaloni no – ha spiegato – Sono costretti a raccogliere quello che arriva dalla rete, ovvero tutte le minchiate che vengono dette. Qui è la rete che produce tutto. E quello che produce la rete arriva dalla Russia e dalla Cina e non fatemi andare oltre: la famosa guerra cognitiva è chiara”.
Mario Sechi, direttore di Libero, ha rivendicato la sua “campagna pro Israele”: “Abbiamo avuto ragione, stiamo dalla parte giusta. Io mi son beccato una scomunica dal Cremlino, direttamente da Maria Zakharova e una fatwa da Nostra Signora di Gazza, Francesca Albanese”.
Accuse di antisemitismo anche ai “progressisti”, con successivo auspicio di un intervento salvifico dei “riformisti” (“E lo dico io che non sono di destra”).
Sulla carestia a Gaza e sui massacri israeliani, il giornalista ha parlato di “campagna pazzesca di menzogne”, quella “di Pallywood”, “a cui verranno chiamati a rispondere davanti al tribunale della storia in molti”.
Poi la perla: “Non ho visto tanti palestinesi dimagriti come si diceva”.
Franco Bechis, direttore di Open, ha inquadrato tutto come scontro tra civiltà: “C’è una differenza umana tra chi sgancia una bomba e chi entra a sgozzare, violenta, brucia, distrugge. È la differenza tra la nostra civiltà giudaico-cristiana e quella islamica radicale”.
Giuliano Ferrara ha definito “una grande manipolazione” la narrazione delle piazze e dei media: “Un pogrom è un pogrom, non un atto di guerra. Hamas ha fatto i funerali alle bambole”.
E Fiamma Nirenstein, consigliera del ministro degli Esteri israeliano, ha concluso con un’immagine surreale: “Sembra l’invasione degli ultracorpi, sono usciti baccelli da cui spuntano antisemiti matricolati”.
Dopo ore di accuse, generalizzazioni e denunce, Andrea Malaguti ha preso la parola. Il suo intervento, lucido e incisivo, è stata l’unico a restituire alla parola “informazione” un senso diverso da quello di propaganda: “Pensavo di venire a un confronto disteso. Ho scoperto di essere antisemita, comunista e simpatizzante di Hamas. Ma raccontare il dolore di un bambino palestinese mutilato significa essere antisemiti? Vergogna? Io non mi vergogno affatto: sono orgoglioso dei miei colleghi che rischiano la vita ogni giorno”.
Fonte: il Fatto Quotidiano del 18 ottobre 2025
