
«Per quanto riguarda il porto di Ravenna, non ho alcuna informazione in merito a trasporti di armamento bellico in violazione delle leggi dello Stato». La frase sta scritta in una lettera inviata dall’allora Presidente dell’Autorità Portuale agli organizzatori del convegno organizzato proprio presso la sede dell’Ente Porto dove lo stesso Rossi era stato invitato ad intervenire. Il convegno, tenutosi il 24 febbraio 2024, aveva a tema il ruolo dei porti nell’armare i conflitti. Rossi diceva anche altro: «Venendo al ruolo dei porti, credo sia difficile sostenere che per prevenire o gestire conflitti sia sufficiente chiuderli in modo indiscriminato ai traffici verso alcune aree del mondo. La ricchezza delle nazioni, il benessere dei popoli transita dai porti. I porti sono fonte di vita, sono luoghi da proteggere e tutelare, dove ovviamente devono essere rispettate le leggi dello Stato». E, di fronte alla richiesta di impedire che il traffico di armi attraverso i porti concorresse al genocidio palestinese, concludeva: «Mi pare francamente velleitario pretendere che un funzionario pubblico, quale è il Presidente di Autorità Portuale, violi le leggi dello Stato di cui è rappresentante e decida lui quali sono le regole che si applicano nel porto che amministra pro-tempore».
Il fatto è, gli venne risposto dal Presidente di Weapon Watch (l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei che assieme ad altri aveva organizzato il convegno), che già «Ci sono una legge dello Stato e un Trattato internazionale ratificato dal nostro paese che impongono di non esportare né consentire il transito di armamenti diretti verso paesi in stato di conflitto armato, la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione, nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, che destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa». Si tratta della Legge 185/1990 e il Trattato sul commercio delle armi, recepito nel nostro ordinamento con la legge n. 118 del 2013 e in vigore dal 2014, che impediscono il transito e non solo le esportazioni dirette di armi e componenti verso Israele.
Apprendiamo dalla stampa (Linda Maggiori, Da Capodistria ad Haifa: la rotta «balcanica» delle armi a Israele, il manifesto del 26 agosto 2025) che:
«il 7 agosto scorso la nave Zim New Zealand, della nota compagnia di navigazione israeliana, ha lasciato il porto sloveno di Capodistria (Koper) con due carichi di armi diretti a Israele.
Il primo carico, etichettato come “macchinari elettrici” ma classificato come materiale militare, proveniva dalla A-E Electronics, filiale rumena di Elbit Systems, principale produttore israeliano di sistemi d’arma. Il secondo carico proveniva da un’azienda di armamenti serba, la LSE Land System Engineering, anche questa fornitrice di Israele. Secondo il portale irlandese, entrambe le spedizioni erano destinate allo stabilimento Elbit Systems Land di Yokneam, in Israele.
La nave è giunta a destinazione ad Haifa il 14 agosto, dopo aver fatto tappa nei porti di Venezia (8 agosto) e Ravenna (9 agosto)».
E, prima ancora, è Weapon Watch a segnalare che: «I portuali a Ravenna stanno vedendo passare i container di munizioni destinate alle IDF. Caricano queste merci di morte sulle portacontainer dirette a Haifa e Ashdod, quasi sempre navi della compagnia israeliana ZIM. Prima caricavano per lo più ortofrutta e merci varie, ora sempre più dispositivi militari e munizioni la cui probabilità di essere impiegate sulla popolazione civile inerme, in flagranti crimini di guerra – come dovranno prima o poi verificare i tribunali internazionali –, è altissima.
Ultima denuncia in ordine di tempo risale al 30 giugno scorso, quando alcuni container con l’etichetta “esplosivi” classe 1.4 (cioè munizioni) sono stati caricati a bordo della “ZIM New Zealand”, partita con destinazione Haifa, dove è regolarmente arrivata il 4 luglio».
Non basta, perché già a febbraio era stato messo sotto sequestro un carico diretto ad Israele di materiali per usi bellici privo di autorizzazione all’esportazione. E l’azienda sotto indagine, per quanto risulta alla Guardia di Finanza, avrebbe effettuato nel 2024 altre quattro operazioni di esportazione di “altri lavori di ferro o di acciaio fucinati” in favore di azienda di armamento israeliana.
Il quadro sopra riferito non può che essere parziale, visto l’enorme interesse a portare avanti questi traffici (e a occultarli) recentemente denunciato in un documentato rapporto di Francesca Albanese (United Nations Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territory occupied since 1967). La quale peraltro ha denunciato: «Un esempio di come prospera il sistema dell’impunità: l’UE Horizon finanzia Rafael attraverso un progetto che coinvolge il Ministero della Difesa israeliano e l’Università di Tel Aviv. Tra i partner figurano diverse istituzioni, tra cui l’Autorità Portuale di Ravenna (Italia). Richiamo con urgenza le Autorità ravennati e gli altri soggetti coinvolti a concludere immediatamente questo progetto e chiedo alla Commissione UE di smettere di finanziare aziende criminali».
Da qualche mese Rossi è stato sostituito nel ruolo che ricopriva entro l’Autorità Portuale di Ravenna. In attesa che si completi l’iter per la sua nomina a Presidente, il Prof. Francesco Benevolo è stato designato Commissario del nostro scalo. È a lui, dunque, che spetta il «coordinamento delle attività amministrative esercitate dagli enti e dagli organismi pubblici nell’ambito dei porti e nelle aree demaniali marittime comprese nella circoscrizione territoriale», nonché «indirizzo, programmazione, coordinamento, regolazione, promozione e controllo […] delle operazioni e dei servizi portuali […] e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti e nelle circoscrizioni territoriali», compresi i «poteri di ordinanza, anche in riferimento alla sicurezza rispetto a rischi di incidenti connessi alle attività», oltre alla «amministrazione in via esclusiva delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione», come previsto dall’art.6 L.84/1994 e s.m.i.
Come Ravenna in Comune (e non siamo solo noi a dirlo) riteniamo che la foglia di fico dell’ignoranza di eventuali violazioni della legge, messa avanti a suo tempo da Rossi, sia definitivamente caduta. Le violazioni della legge ci sono, sono molte e sono note; le armi arrivano, transitano e ripartono verso Israele; il porto di Ravenna è complice del genocidio. Come scriveva Weapon Watch all’allora Presidente dell’Autorità Portuale:
«Sul tema delle armi e della guerra c’è una distanza, che tende ad ampliarsi, tra il sentimento generale del Paese e gli interessi economici di un assai limitato comparto produttivo, di un’industria della difesa che può sopravvivere solo esportando armi e guerra. Su questo tema non ha molto senso ricorrere all’autorità giudiziaria. Piuttosto sarebbe utile se, di fronte alla disapplicazione delle leggi si potesse attivare una figura intermedia e autorevole come quella del presidente di un’Autorità di sistema portuale, che è sì di nomina ministeriale ma ha compiti di tutela dell’interesse collettivo e di armonizzazione tra interessi contrapposti. Tra l’altro il presidente dell’AdSP provvede al coordinamento delle diverse amministrazioni pubbliche coinvolte nella gestione portuale, ha il ruolo per convocare conferenze dei servizi tematiche, e può aprire un tavolo di confronto con le rappresentanze dei lavoratori e della società civile sul tema della sicurezza rispetto al transito di esplosivi e degli armamenti».
A seguito dell’ultima strage efferata compiuta dall’esercito israeliano contro l’ospedale Nasser di Khan Yunis, Francesca Albanese ha domandato alla comunità internazionale: «quanto altro deve ancora essere visto prima di agire per fermare questa carneficina?». Secondo noi il tempo è da tempo scaduto. Il sangue palestinese non può più essere nascosto dietro agli interessi economici dei traffici portuali. Chiediamo pertanto al Prof. Benevolo di porre immediatamente termine alla correità di Ravenna nel genocidio palestinese. Chiediamo al Sindaco di Ravenna di farsi a sua volta portatore presso l’Autorità Portuale dell’interesse della comunità ad eliminare qualunque ruolo di Ravenna nelle violenze di cui è quotidianamente fatta oggetto la popolazione palestinese.
[nell’immagine: due momenti del presidio del 9 agosto scorso davanti all’Autorità Portuale per chiedere la cessazione della complicità dell’Ente nel genocidio palestinese]
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Da Capodistria ad Haifa: la rotta «balcanica» delle armi a Israele
