COME SI UCCIDE LA DEMOCRAZIA

Come noto, la “democrazia” ci viene dal greco antico δημοκρατία, un vocabolo composto da δῆμος «popolo» e -κρατία «-crazia» e definisce quella società in cui il potere risiede nel popolo. L’occidente e l’Italia in particolare si vantano, come pure noto, di essere la parte del mondo in cui si pratica la democrazia rispetto ad altre in cui la società umana si organizza non già dal basso in alto, perché proprio questo vuol dire che il potere risiede nel popolo, ma, all’opposto, dall’alto in basso. La democrazia conosce tante forme ma per essere tale deve prevalere la volontà della moltitudine popolare piuttosto che i bisogni di pochi privilegiati. In mancanza di colpi di stato, non c’è un momento in cui la democrazia muore e viene sostituita da un regime autoritario: in genere è un processo che accade un po’ alla volta. Il sistema è quello della rana bollita. È una condizione che verrebbe rifiutata dai più se proposta dall’oggi al domani, ma invece viene accolta perché ce la troviamo propinata sempre più intensamente, un po’ come la temperatura in costante aumento dell’acqua in cui si trova la rana, finché quello che è nato come un fastidio si conclama come la fine della democrazia. La condanna a morte della rana. Pur con questa difficoltà nel tracciare una riga tra un prima e un dopo, la data di ieri potrebbe essere convenzionalmente adottata dai libri di storia per segnare la morte della democrazia in Italia. Quanto meno di quella diretta.

Ieri, infatti, 5 referendum che avrebbero migliorato la vita della moltitudine popolare hanno portato alle urne molto meno della metà di quel popolo che ne avrebbe beneficiato. E pertanto, nonostante l’approvazione maggioritaria da parte di chi, invece, a votare si è recato, non hanno portato alcun beneficio. Razionalmente non è concepibile: se bastava dedicare pochi momenti ad un atto che avrebbe recato solo vantaggi ai più, perché queste e questi più non l’hanno compiuto? Messa così non si spiega. Bisogna considerare la rana, piuttosto.

Bisogna ripensare all’acqua in cui nuotava nel 2011, quattordici anni fa, cioè l’ultima volta in cui i referendum abrogativi superarono il quorum per la loro validità. Furono referendum che quelle Italiane e quegli Italiani che ottennero la vittoria aspettano ancora  vengano attuati: l’acqua continua ad essere un bene distribuito da privati che ci lucrano sopra; i servizi pubblici continuano ad essere forniti da privati che ci lucrano sopra; il nucleare è stato di nuovo ritirato fuori dal cassetto… Forte, dunque è stata la sensazione di una vittoria scippata e che votare non fosse servito proprio a niente. Chi ne porta la responsabilità se non i partiti che sono rappresentati in Parlamento, nella nostra Assemblea Regionale e nel nostro Consiglio Comunale? Molti di quegli stessi partiti che ai successivi referendum del 2016 e del 2022 suggerivano di disertare le urne. Non solo loro: anche sindacati, associazioni, giornalisti, opinionisti… L’invito all’astensione venne accolto dalla moltitudine popolare ed affossò tutti i referendum abrogativi successivi a quelli del 2011 con giubilo da parte di quegli stessi partiti, sindacati, giornalisti, opinionisti…

Il disinteresse verso la democrazia si può insegnare. Il popolo si abitua un po’ alla volta a farne a meno. Il sentimento che votare o meno non cambia niente, non serve a niente, è solo una perdita di tempo, si può far crescere a poco a poco. Il racconto che chi ha smesso di votare aspetta solo l’occasione buona per tornare al voto… è solo un racconto. Ieri che c’era in ballo la possibilità di migliorare l’esistenza della popolazione attraverso il voto della stessa popolazione che ne avrebbe beneficiato, il 70% di questa stessa popolazione se ne è disinteressata, è rimasta convinta che votare o meno non sarebbe cambiato niente, che non sarebbe servito a niente, che sarebbe stata solo una perdita di tempo. Non era vero, ma si è comportata come se lo fosse. E ha perso. Abbiamo perso. Tutte e tutti. Tranne chi difende e si riconosce in quella minoranza di privilegiati che beneficia della miseria altrui. Ieri, 9 giugno 2025, è finita la democrazia in Italia. Quanto meno quella diretta è morta definitivamente. La possibilità di cambiare le cose con un referendum è uscita dalla storia. Per la democrazia indiretta, invece, l’autopsia è rinviata alle prossime elezioni. Ma c’è il rischio concreto che venga considerata una formalità burocratica. Senza andare tanto lontano nel tempo si è visto alle elezioni amministrative di due settimane fa a Ravenna quanta gente ha votato (e per chi ha votato). E lo stesso alle regionali di sei mesi prima. E alle europee dell’anno prima…

È la storia della rana.

Con una differenza. Piccola, ma importante. Quando nel 1869 Friedrich Goltz condusse i suoi esperimenti sulla rana bollita, ebbe la cautela di rimuovere anticipatamente il cervello dell’anfibio. Una rana con cervello intatto, infatti, usciva prontamente dall’acqua quando questa raggiungeva i 25 gradi. Alla rana, dunque, rimane ancora una possibilità di cavarsela. A noi, che pur di democrazia ci riempiamo la bocca, forse, non più.

#RavennainComune #Ravenna #democrazia

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Referendum lontani dal quorum. Morrone (Lega) esulta

Fonte: Ravenna Notizie del 9 giugno 2025

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