LA DISCOTECA DELLA DIGA DI MARINA

Dello stravolgimento operato su Marina di Ravenna a causa dell’operazione “Marinara” portano responsabilità i Sindaci che si sono succeduti alla guida delle Amministrazioni comunali succedutesi tra la fine del secolo scorso ed oggi. Oltre, ovviamente, alle maggioranze che hanno sostenuto quell’enorme lottizzazione che si è “mangiata” l’affaccio al mare tra molo Dalmazia e diga Zaccagnini. E principale responsabile, altrettanto ovviamente, è il partito dell’attuale Sindaco, che ha garantito la necessaria continuità all’operazione e che tale lottizzazione ha fortemente voluto. Dal 1998 in avanti, in più fasi, si è così avuto, prima, l’avanzamento della linea di costa e, poi, la demolizione di molti dei fabbricati che caratterizzavano, a debita distanza dall’acqua, tale costa: circoli dove si praticavano sport acquatici, una discoteca e, perfino, la costruzione che racchiudeva il modello fisico del porto di proprietà statale (del Genio per le opere marittime). Al suo posto è sorto l’attuale quartiere, abitato d’estate negli appartamenti e in molti locali commerciali vuoto in ogni stagione.

Rinviamo ad altra occasione ogni ragionamento sui danni provocati dalla realizzazione dei due porti turistici a Marina di Ravenna e Casalborsetti: l’analisi merita un approfondimento dedicato.

Oggi ci occupiamo piuttosto di un’incompiuta. In prolungamento rispetto al cantiere nautico di “Marinara” doveva infatti sorgere una discoteca. Benché la sua previsione abbia segnato la fine de L’Hemingway (storico locale di Marina), il progetto arrivò fuori tempo massimo per sostenersi economicamente: si era già alla fine della stagione dei locali strutturati per il ballo. Né ebbe miglior successo l’ipotesi di destinare la costruzione ad ospitare una palestra. E, per fortuna, nemmeno la sciagurata idea di farne un centro per il gioco d’azzardo ha acquistato concretezza.

L’attività edilizia è ugualmente iniziata ma la concessionaria del porto turistico l’ha lasciata a metà (o forse anche meno). Gli scheletri di due piccole piramidi sormontano l’edificio principale, rimasto “al grezzo”. Un capannone costituisce il prolungamento verso un parcheggio. Materiali da costruzione sono disseminati da anni attorno al perimetro tra pezzi di recinzione, teloni e simili. Evidente il deterioramento che l’assenza di qualunque attività manutentiva ha provocato. Vien quasi da ringraziare lo street artist che, almeno, ha provato ad ingentilirne le pareti. La fotografia ritrae impietosamente il lato che dà sulla diga.

Già, perché questo “sedotto e abbandonato”, purtroppo, si trova proprio alla radice di quella che è la più nota e caratteristica passeggiata turistica di Marina di Ravenna: quell’unicum italiano che è la diga intitolata a Benigno Zaccagnini, in questi giorni ancora chiusa da un’ordinanza dell’Autorità Portuale per evitare assembramenti in tempo di pandemia. Prima o poi, d’altra parte, la diga sarà riconsegnata alla cittadinanza, locale e non, e verrà riaperta quella che è una vera e propria strada che si inoltra per quasi tre chilometri in mezzo al mare. Si ritornerà dunque all’abituale “struscio” che inizia proprio con vista cantiere abbandonato. È un promemoria doloroso e immeritato della recente storia del paese. E di chi ne porta la responsabilità.

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