SI CONTINUA A MORIRE DI AMIANTO MA NESSUNO NE HA COLPA

Si dovranno attendere le motivazioni (il termine previsto per il deposito è di 60 giorni) per capire il ragionamento che ha portato alla sentenza di assoluzione nel processo “amianto Iter”. La sentenza è arrivata venerdì in Corte d’Appello a Bologna e ha riguardato tre ex rappresentanti legali della cooperativa ravennate accusati di omicidio colposo per la morte di Pier Paolo Montanari, scomparso nel 2011 per un “mesotelioma pleurico bifasico destro”. Una malattia legata – secondo l’accusa – agli anni di lavoro a stretto contatto con l’eternit; quasi un quarto di secolo passato alle dipendenze della Iter, respirando fibre killer. Si occupava della manutenzione delle reti fognarie che spesso erano rivestite di amianto.  Qui sarebbe entrato in contatto con la sostanza killer finendo per ammalarsi a distanza di anni. Contro i legali rappresentanti dell’Iter pendevano le accuse di “imprudenza, negligenza e imperizia” per non avere adottato tutte le misure necessarie per impedire o ridurre la diffusione delle polveri di amianto negli ambienti di lavoro, contribuendo così a causare la malattia poi rivelatasi fatale per Montanari.

Ma il tribunale anche in appello ha confermato la sentenza di assoluzione che era già stata pronunciata in primo grado: non ci sono colpevoli per la morte del lavoratore!

Riservandoci un approfondimento a motivazioni rilasciate, abbiamo chiesto un commento a Vito Totire, medico del lavoro, dell’Associazione Esposti Amianto e Rischi per la Salute, di cui già avevamo pubblicato le riflessioni seguite alla sentenza di appello assolutoria nel processo “amianto Enichem”:

“Bisognerebbe saperne di più ma presumo che il filo conduttore sia sempre quello: la negazione della verità scientifica che depone per il ruolo determinante della dose cumulativa, la invenzione di una precocissima dose di innesco ineluttabile (in realtà visto che non si conosce il “giorno” dell’innesco non si può incriminare nessuno…) e la richiesta alle parti civili della onerosa e diabolica prova delle fasi temporali della malattia…

Un ritorno alla tragica teoria della fibra-killer e la sfida a individuare quale tra le milioni di fibre inalate ha ucciso e chi era il responsabile della sicurezza il giorno che quella fibra è stata inalata…

Si è affermata in alcuni settori della magistratura questa idea: in dubio pro reo, devo assolvere; quando non c’è il dubbio pro reo? quando e se tutti i consulenti sono d’accordo… finché alcuni consulenti di parte non sono d’accordo c’è il dubbio… ma a questo punto; fatti così questi processi sono uno spreco di risorse…

Comunque proprio oggi ho segnalato a procura/Uopsal e Inail un caso mortale di patologia asbestocorrelabile.

“Loro” assolvono, noi insistiamo sulla verità”.

Grazie Vito

#MassimoManzoli #VitoTotire #RavennainComune #Ravenna #amianto

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Operaio morto per amianto. Assolti tre ex dirigenti della Iter. Dichiarati non colpevoli tre manager della cooperativa che si erano succeduti tra il ‘75 e il ‘99. Il lavoratore aveva scoperto di essere malato nel 2010 ed era morto un anno dopo

Non ci sono colpevoli per la morte di Pier Paolo Montanari. La sentenza è arrivata venerdì in Corte d’Appello a Bologna, a 10 anni dalla diagnosi che tra le righe gli dava i giorni contati: mesotelioma pleurico bifasico destro. Una malattia legata – secondo l’accusa – agli anni di lavoro a stretto contatto con l’eternit; quasi un quarto di secolo passato alle dipendenze della Iter, respirando fibre killer.

Oggi, Montanari avrebbe avuto una sessantina d’anni. Morì nel 2011, poco più di un anno dopo la scoperta della malattia. Per quel decesso tre ex rappresentanti legali della cooperativa ravennate erano accusati di omicidio colposo, ma già in primo grado erano stati giudicati non colpevoli. Dopo la sentenza emessa dal tribunale di Ravenna, avevano fatto ricorso le due parti civili, l’Inail, assistita dall’avvocato Gianluca Mancini, e la vedova del lavoratore, difesa dall’avvocato Francesco De Angelis. Tre giorni fa a Bologna un nuovo “schiaffo”, mascherato sotto forma di assoluzione, nello specifico per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova.

Una vita a respirare morte

Alla Iter, Montanari faceva l’operaio. Ventiquattro, per l’esattezza, gli anni passati tra il 1975 e il 1999 con mansioni di muratore, nei cantieri edili e infrastrutturali. In particolare nella manutenzione delle reti fognarie che spesso erano rivestite di amianto. Qui sarebbe entrato in contatto con la sostanza killer finendo per ammalarsi a distanza di anni.

Inizialmente il giudice per le indagini preliminari Piervittorio Farinella, aveva disposto il rinvio a giudizio per cinque imputati, tutti legali rappresentanti susseguitisi negli anni al vertice della cooperativa. Contro di loro pendevano le accuse di “imprudenza, negligenza e imperizia” per non avere adottato tutte le misure necessarie per impedire o ridurre la diffusione delle polveri di amianto negli ambienti di lavoro, contribuendo così a causare la malattia poi rivelatasi fatale per Montanari. Era l’inizio di luglio 2016, e pochi mesi dopo il giudice monocratico Cecilia Calandra si sarebbe pronunciata con una sentenza di assoluzione.

L’appello presentato dalle parti civili è arrivato ai giorni scorsi, portando nuovamente davanti al giudice tre dei dirigenti ad oggi imputabili, che per la seconda volta ne sono usciti da innocenti.

Si dovranno attendere ora le motivazioni (il termine previsto per il deposito è di 60 giorni) per capire il ragionamento che ha portato alla sentenza e scoprire se i legali dell’istituto nazionale per l’assistenza sugli infortuni sul lavoro e della vedova del lavoratore decideranno di ricorrere in Cassazione.

Singolare la coincidenza. Proprio il 2020 era stato indicato nella perizia del maxi processo per l’amianto al petrolchimico come l’anno in cui si sarebbe manifestato il picco dei decessi. E proprio il 25 maggio scorso si è giunti alla sentenza d’assoluzione in Appello per 14 imputati, a processo per le morti da amianto al polo chimico di Ravenna.

Le motivazioni della decisione del tribunale bolognese sono state depositate a inizio settembre. E i giudici, oltre a sostenere che le morti da mesotelioma che hanno colpito i dipendenti del petrolchimico sono strettamente legate «all’esposizione da amianto durante l’attività lavorativa», hanno riformulato la formula con la quale sul finire del 2016 il tribunale di Ravenna ha giudicato non colpevoli i vari dirigenti e responsabili finiti sotto accusa. Puntualizzando che il fatto sussiste, hanno motivato l’assoluzione specificando che non è tuttavia possibile stabilire che la malattia letale si possa attribuire con assoluta certezza ai singoli imputati.

L’inchiesta era iniziata nel 2009 concentrandosi su 28 isole produttive e andando a indagare un arco temporale vastissimo, dagli anni ‘60 fino al 2012. Una volta concluse le indagini, le parti offese individuate erano arrivate a 78, comprendendo operai nel frattempo ammalatisi, o familiari dei defunti. 

Federico Spadoni
Fonte: Il Corriere di Romagna del 2 ottobre 2020

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