I BAMBINI NON SONO UNTORI

Siamo stati tra i primi a porre questo tema al sindaco in piena emergenza coronavirus e non ci siamo mai rassegnati cercando di sollevare le possibili criticità in ogni occasione, cercando anche di portare proposte (apertura di qualche parco cittadino per accompagnare i minori partendo dalle categorie più fragili, per esempio). Non è stato possibile in alcun modo rompere quel muro di divieti e imposizioni che suonavano strane a noi (e immagino anche agli occhi di un minore) e che erano uniche per rigidità (o quasi) tra i tutti i Paesi occidentali. Abbiamo talvolta sperato e pensato (perché da molte parti arrivavano queste critiche alle nostre proposte) che, forse, stavamo esagerando e alla fine dei conti i minori avrebbero vissuto meglio di noi la quarantena.

Leggendo questa intervista del dottor Marchetti, primario di pediatria del nostro ospedale, troviamo in ogni singola risposta le perplessità che da sempre abbiamo messo sul piatto della discussione: dalla didattica a distanza (utile solo in caso emergenziale è che mai dovrà sostituire la didattica in presenza, alla necessità dei minori di poter uscire, dai rischi connessi all’alimentazione a quelli dovuti al sovraccarico di utilizzo di dispositivi tecnologici fini a crisi e attacchi di panico. Facciamo nostra l’ultima riflessione del primario:

«Il rischio zero infettivo non esiste, ma è molto contenuto per i bambini; è invece consistente un rischio di disagio psico sociale e di apprendimento, soprattutto per una minoranza che già si trovava in una situazione di difficoltà. Pensiamoci con ragionevolezza, ma pensiamoci subito. I grandi sforzi che sono stati fatti devono essere ripagati. La rinascita sociale parte anche e soprattutto dai nostri figli, bambini e adolescenti».

Massimo Manzoli

capogruppo Ravenna in Comune

#MassimoManzoli #RavennaInComune #Ravenna #scuola

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«Un errore aver ritenuto i bambini untori. La rinascita deve partire anche da loro»

Il primario di Pediatria dell’ospedale di Ravenna, Federico Marchetti, a tutto campo: «Il lockdown ha portato paure e angosce, la didattica a distanza a ritardi educativi»

8daa64b3 0e04 46a6 8fb1 4593a1fe040bBambini e coronavirus. Ne abbiamo parlato con il dottor Federico Marchetti, primario del reparto di Pediatria e Neonatologia dell’ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna.
Perché i bambini non si sono (o quasi) ammalati di Covid-19?
«I bambini e gli adolescenti hanno avuto delle forme di infezione molto più lievi, spesso asintomatiche appunto e le ipotesi in merito a questo migliore patrimonio di difesa sono diverse. La risposta immunitaria innata, che è la risposta precoce che si rivolge a gruppi di agenti patogeni, tende a essere “più attiva” nei bambini. Ci sono poi minori condizioni di rischio per concomitanti malattie croniche. Gli adulti potrebbero essere più sensibili a una risposta immunitaria paradossalmente dannosa contro il virus che si caratterizza per la liberazione di “citochine”, le sostanze che provocano il danno, in primo luogo a livello polmonare. Un modello simile vale per altre malattie infettive, come il morbillo o la varicella per le quali esiste un vaccino: gli adulti hanno una probabilità 25 volte maggiore di avere conseguenze gravi da varicella rispetto ai bambini».
Quanti casi si sono verificati in provincia e come sono stati affrontati?
«Sono stati 48 i casi di bambini ed adolescenti (su oltre mille totali, ndr) con documentata infezione da Covid-19, tutti con sintomi lievi e tutti seguiti a domicilio, tranne il ricovero di un neonato, poi prontamente dimesso. Questo grazie allo straordinario lavoro che è stato messo in campo nell’intera Ausl della Romagna, anche a Cesena, Forlì e Rimini. Un lavoro abbastanza unico, nella sua perfetta organizzazione, nell’intero panorama nazionale».
Avete evidenze su quanto e come i bambini possano aver contagiato, da asintomatici, il resto della famiglia?
«In questi mesi si è parlato troppo e male di quanto i bambini potessero essere la fonte del contagio. Di fatto quello che sappiamo è che i bambini si sono ammalati nella stragrande maggioranza dei casi per contagio dagli adulti e non il contrario. Avere ritenuto i bambini come possibili “untori” ha fatto molto male a loro in primis e al complessivo sistema di ripartenza di attività educative e sociali che li devono per forza riguardare, come priorità e non per ultimi».
Ci sono patologie che si sono sviluppate oppure che non sono state adeguatamente curate in questo periodo, con relative conseguenze?
«Vi è stata molta attenzione nel seguire i casi affetti da patologie croniche, fornendo piena disponibilità a contatti telefonici e anche diretti in caso di bisogno. In Pediatria le nostre attività non si sono fermate, ora stanno riprendendo a pieno regime anche con l’attività ambulatoriale specialistica. Nelle prime fasi ci sono stati alcuni casi che, per altre patologie acute, sono arrivati più tardi del dovuto all’attenzione sanitaria. Per fortuna sono andati bene, in altri contesti hanno avuto conseguenze severe. Questo va assolutamente evitato. Bisogna tornare a una assistenza che guarda con particolare attenzione i bambini affetti da patologie croniche, e in particolare con disabilità e disagi psichici, con la rimessa in campo di una assistenza fatta di prossimità e non solo a distanza».
Quali sono state le conseguenze della “quarantena” nei bambini? Ci sono stati casi particolari?
«Alcuni segnali allarmanti già ci sono, soprattutto per bambini che soffrivano di alcune patologie neuropsichiatriche. Sono stati necessari anche alcuni ricoveri per attacchi di panico o disturbi da sintomi somatici, ma i casi si stanno risolvendo».
Come affrontare le paure dei più piccoli? Quali saranno le conseguenze sul lungo periodo?
«In questa fase è fondamentale dare messaggi di rassicurazione anche ai nostri bambini: l’importante è tornare a una vita sociale ed educativa fatta di relazioni, con ragionevole sicurezza, con il rispetto di alcune semplici regole, quando necessarie. Si parla tanto di resilienza dei bambini, di capacità di adattamento, ma non bisogna più esagerare con l’isolamento forzato: vale per tutti, per loro ancora di più. Siamo invasi da notizie, da preoccupazioni giuste sui tempi e modi di ripartenza ma dei diritti dei bambini ad avere una vita sociale ed educativa se ne parla pochissimo. La gestione su come bambini e adolescenti hanno vissuto questo terribile periodo alla fine è affidata ai genitori. Difficile dire quali potranno essere le conseguenze. Lo capiremo tra un po’. Ma prima si riparte meno problemi avranno. La massima attenzione andrebbe riservata ai bambini e alla famiglie fragili e per diversi motivi: in termini di salute, di povertà, di complessivi disagi».
Chi sta soffrendo di più per la mancanza della scuola? Qual è l’età più critica?
«Come pediatra sento questa cosa con particolare sofferenza. Ogni età è critica e per ragioni diverse. Di certo quelli che hanno sofferto di più sono i bambini con problemi di apprendimento, con difficoltà di aiuto domestico. È tempo che anche per la scuola e per tutti i servizi per l’infanzia, come è stato per gli ospedali e il personale sanitario nelle zone più duramente colpite, ci sia una assunzione di responsabilità collettiva. Non possiamo far pagare ai bambini, e alle loro famiglie, il peso delle nostre esitazioni, lasciando che gran parte delle scelte, per ora discusse prevalentemente in una prospettiva infettivologica, siano rimandate a settembre».
Crede quindi che la scuola debba riaprire in settembre?
«La scuola è molto di più che una serie di esami, ha il compito di formare e non solo di informare! La scuola deve assolutamente riaprire a settembre, ma già da adesso bisogna muoversi (come si sta facendo) con una prospettiva di luoghi di incontro formativi, educativi e di gioco. Si tratta, lo dico da semplice cittadino, di evitare di parlare solo ed esclusivamente delle giuste tecniche per riaprire in sicurezza, ma di fare un profondo sforzo che ponga la scuola al centro di una prospettiva di rinascita e di base per una ripartenza, didattica e formativa».
La didattica a distanza ha quindi avuto ricadute indesiderate?
«Per tutti, tranne quei pochi che possono vantare una buona dotazione tecnologica in casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e nei compiti, si è accumulato un ritardo educativo, che per la maggioranza (secondo i dati prodotti dalle indagini di Save the Children e della Sant’Egidio, almeno 6 su 10) è molto rilevante, e non puòessere nascosto dietro i pur doverosi sforzi di didattica a distanza. Tra l’altro, si moltiplicano le segnalazioni da parte di genitori e insegnanti sul fatto che, anche in quella minoranza di bimbi che ha avuto accesso alle tecnologie e al supporto domestico, si rendono sempre più evidenti cali di attenzione e indisponibilità alle attività finalizzate all’apprendimento. Lo smart working tra l’altro non è compatibile con il supporto richiesto ai genitori per i figli impegnati nei sistemi di educazione a distanza. Richiedono infatti entrambi tempo, energie e capacità, che si aggiungono alle esigenze di attenzioni e cure verso i figli. Molti genitori purtroppo in questo momento hanno come assoluta priorità quella del lavoro».
I bambini hanno abusato dei dispositivi elettronici? E questo può aver portato alla cosiddetta “sindrome della capanna”, alla voglia di restare chiusi in casa?
«Sì, sicuramente sì. Alcuni genitori ci hanno parlato di una chiusura che da forzata sta diventando di scelta, con una ripetizione ossessiva fatta di collegamenti virtuali (smartphone, video giochi e altro), di paure, di piccole o grandi angoscie».
È stato importante poter tornare a fare attività motoria?
«Vedere sfrecciare in bicicletta i bambini e adolescenti con i genitori e gruppi di amici in questi giorni è l’altra faccia positiva della medaglia. Speriamo di vederli sempre di più all’aria aperta, in luoghi di incontro sicuri. I bambini sono bravissimi a seguire i consigli che gli diamo. Lo vediamo tutti i giorni in ospedale. Va garantita una ripresa dell’attività motoria che da sempre ribadiamo essere importante per un benessere psicofisico. I modi possono essere trovati, non serve solo fantasia, ma anche tanta volontà e disponibilità. Il ritorno a sport di squadra sarà il punto finale di questa ripresa».
Il lockdown crede che abbia influito anche sull’alimentazione? Quali consigli si sente di dare ai genitori in questo senso?
«Sono due gli aspetti di cui tenere conto. Sembra impossibile ma per diverse famiglie il pasto sicuro e di qualità scolastico e all’asilo è una garanzia di salute. Ora questo è venuto meno, e il rischio è quello di una povertà alimentare da un lato o, in alcune situazioni, di un eccesso di alimentazione che, associato alla sedentarietà, non è di certo salutare. In questa fase anche se non è facile, i genitori dovrebbero fare capire a bambini e adolescenti il valore della bontà del cibo salutare, quello che in questi giorni abbiamo potuto rivalorizzare. Coinvolgerli in questo senso è possibile, sono sicuro che potranno esserci piacevolissime sorprese».
Possibile imporre ai bambini il mantenimento di una distanza di sicurezza tra di loro, ora che possono giocare all’aperto?
«Ora che possono giocare all’aperto devono poter fare quello che desiderano e che crea piacere in termini di giochi sicuri (e di attività formative) con i genitori o con amici che conoscono. Questo vale anche per le fasce di età tra 0-3 anni. Il resto viene da sè: i bambini più grandi sono capacissimi se necessario di portare la mascherina (ma solo in caso di prossimità, non in spazi aperti). Lo sanno fare molto meglio di tanti adulti. Sanno il significato di lavarsi le mani quando necessario. I genitori, gli educatori, gli insegnanti sanno cosa dire e cosa consigliare. Basta avere profonda fiducia. Il rischio zero infettivo non esiste, ma è molto contenuto per i bambini; è invece consistente un rischio di disagio psico sociale e di apprendimento, soprattutto per una minoranza che già si trovava in una situazione di difficoltà. Pensiamoci con ragionevolezza, ma pensiamoci subito. I grandi sforzi che sono stati fatti devono essere ripagati. La rinascita sociale parte anche e soprattutto dai nostri figli, bambini e adolescenti»
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«Un errore aver ritenuto i bambini untori. La rinascita deve partire anche da loro»

Soegente: Il primario di Pediatria dell’ospedale di Ravenna

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