ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE DA BUTTARE

Domenica scorsa, in un articolo intitolato “Archeologia industriale, suggestiva e dimenticata”, Marco Beneventi ha enumerato per i lettori de il Resto del Carlino alcuni tra i tanti gli edifici che, pur avendo «una loro storia, giacciono in attesa di una riqualificazione facile sulla carta ma mai arrivata».

«Emblematica è la situazione del macello comunale, nel Borgo San Rocco. Realizzato nel 1897 da Pirotti su un’area di quasi 6000 mq, presenta la facciata danneggiata dai bombardamenti del 1944, decorata con quattro medaglioni in marmo realizzati da Maltoni e un ampio atrio d’entrata. Chiuso nel 1987 è stato poi acquistato da un imprenditore privato locale che vi doveva realizzare birrificio e ostello ma finora gli unici interventi riguardano la messa in sicurezza sia su via Serra che nella retrostante piazza». Come noto, l’imprenditore non nominato è quel Poggiali del gruppo Setramar. Lo sboom della bolla speculativa edilizia e le difficoltà economiche della proprietà fanno venire in mente le parole con cui Giovanni Poggiali, candidandosi in appoggio a Michele de Pascale nelle elezioni comunali, riassumeva del 2016 le prospettive del macello: «i progetti ci sono, ma la mia idea è che sia meglio andare con calma». Con molta calma…

«In centro continua a restare immutata la situazione dell’ex officina del gas all’angolo fra via Venezia e via di Roma. Costruita nel 1862 è stata parzialmente demolita dai bombardamenti del 1944 ma poi fedelmente ricostruita. Una volta abbandonata da Area Ravenna, è stato messo a punto un progetto che prevedeva la realizzazione di edifici residenziali attorno alla caratteristica struttura, a sua volta ristrutturata, ma i lavori si sono fermati poco dopo la demolizione di alcune strutture di servizio che la circondavano».

«Un piano di lavoro del 2010 indicava l’area dell’ex Consorzio Agrario e dei vicini Silos Granari Candiano come spazio occupato da nuovi edifici residenziali e ricettivi, tra cui anche un’alta torre, abbattendo gli edifici storici rispettivamente del 1899 e del 1925. Ad oggi è stato solamente demolita una parte dell’ex consorzio agrario che si affaccia su via Manfredi perché era diventata pericolante mentre gli ex Silos Granari stanno letteralmente crollando». Dell’alta torre, dopo quella di Zucchi non sentiremo certo la mancanza…

«Restiamo nella zona darsena per ricordare l’ormai famoso “Sigarone”, […] sempre più fatiscente e circondato da erbacce nonostante il vicino contesto residenziale». Sembra che a Ravenna non ci sia via di uscita: o l’archeologia industriale viene demolita nell’ambito di operazioni spesso opinabili di valorizzazione/speculazione edilizia oppure viene demolita per evitare che crolli da sola. Tanti gli esempi anche in passato: dalla Callegari, alla Fabbrica del ghiaccio, alla Fornace Hoffmann…

In Darsena, specialmente, sembra che a dispetto della esplicita previsione nel POC tematico Darsena del Parco delle Archeologie, costituito dal recupero degli edifici di archeologia industriale con usi prevalentemente culturali e per il turismo, ci sia completo disinteresse da parte dell’Amministrazione Comunale per una effettiva valorizzazione di quello che, assieme all’acqua del canale, rappresenta l’elemento distintivo di quella porzione di città.

Un ultimo esempio in questo senso è rappresentato da un edificio così descritto da Fagnani in risposta ad una interrogazione di Alberto Ancarani per Forza Italia nel Consiglio Comunale del 26 novembre 2019: «Edificato agli inizi del “900, presenta una struttura completamente in legno massello unica e di grande suggestione, ordita in modo da creare una sorta di basilica a tre navate caratterizzata da una spazialità molto interessante». Un gioiello che avvicina lo scheletro di una chiesa paleocristiana a quella che invece è la struttura in legno di un fabbricato industriale. Alla fine del 2018 tetto e pareti laterali, che erano rivestiti di lastre di cemento amianto, sono stati bonificati. Vale a dire che le lastre sono state rimosse e la costruzione è rimasta priva di rivestimento con la struttura in legno completamente esposta agli agenti atmosferici. Ne è conseguito il collasso della pilastrata della navata centrale ed il crollo della parete est con il coinvolgimento della struttura della campata limitrofa. Con tutto ciò, ad oggi ancora l’edificio insiste a non venir giù, nonostante non risulti alcun intervento eseguito dalla società proprietaria. E il Comune? Niente di niente. Siamo ancora nella situazione descritta da Fagnani il 26 novembre: si è preferito chiudere via Antico Squero che fare pressioni sul privato. Che poi magari c’è il rischio che il privato, sotto pressione, qualche intervento di manutenzione lo faccia. E poi? Meglio se crolla tutto, così non c’è più il rischio di dover rispettare le previsioni di piano e ci si libera, in uno con gli edifici, di quelle prescrizioni che limitano una “bella” cementificazione pura e semplice. Vuoi mettere, ad esempio, un vecchio capannone con forma a paraboloide a confronto con un bel supermercato nuovo nuovo?

#MassimoManzoli #RavennaInComune #Ravenna #archeologiaindustriale

One comment to “ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE DA BUTTARE”
  1. Edificio con cemento-amianto bonificato nel 2018!
    Una delle fonti che hanno sparso quelle fibre “Invisibili” che sono certo all’origine di quei mesoteliomi classificati da “esposizione ignota” ; ai malati poi il parlamento ha deciso di aumentare l’elemosina da 5.600 euro a 10.000;
    ERA MEGLIO BONIFICARE PIUTTOSTO CHE FARE LA ELEMOSINA DOPO;
    piuttosto a quando un programma per “Ravenna città (totalmente) libera dall’amanto “? Voglio dire dalle coperture alle tubazioni della acqua “potabile” ; o ci siamo dimenticati dei campionamenti di amianto fatti anni fa e poi non ripetuti ?

    Vito Totire

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