AGRICOLTURA: PAGHE DA FAME

Mercoledì 27 novembre 2019, alle ore 20,30, in Piazza della Repubblica 10 a Mezzano, interverranno all’incontro sulla diffusione dello sfruttamento del lavoro in agricoltura ( Siamo uomini o caporali?), condotto da Maurizio Masotti, fotografo e curatore del progetto Tracce Migranti, e che prevede anche le “incursioni musicali” di Gianluigi Tartaull:

– Francesco Carchedi, sociologo e docente presso la Sapienza di Roma, autore dei rapporti su “Agromafie e caporalato” per l’Osservatorio Placido Rizzotto,

– Seck Alassane, responsabile del coordinamento Immigrati della FLAI-CGIL, promotore del progetto “Ancora in campo” per incontrare i lavoratori direttamente sui luoghi di lavoro,

Raffaele Vicidomini, il Segretario Generale della FLAI Cgil di Ravenna.

Quest’ultimo ha rilasciato intervista ad Alessandro Cicognani del Corriere Romagna, uscita sul quotidiano il 26 novembre. La riportiamo integralmente.

«L’aumento della povertà spinge ad accettare queste paghe da fame».

Raffaele Vicidomini, segretario della Flai Cgil Ravenna, è il sindacalista che si è occupato di studiare il fenomeno del lavoro irregolare sul territorio. La persona più adatta, quindi, per entrare tra le pieghe di un sistema di gestione dei braccianti spesso complesso. Partirei da una precisazione, quando si parla di lavoro irregolare ci si riferisce solo al lavoro nero?

«Non solo. Da una parte c’è il lavoro nero, quindi senza alcun contratto e senza il pagamento di alcun contributo, dall’altra c’è il lavoro cosiddetto grigio. In questo secondo caso parliamo quindi di lavoratori assunti regolarmente, ma i cui turni e orari non corrispondono alla realtà dell’effettivo lavoro svolto. E si tratta della tipologia più diffusa».

Quali lavoratori coinvolge questo fenomeno?

«Principalmente i braccianti stranieri, anche sta aumentando sempre più il numero degli italiani. Dobbiamo infatti renderci conto che stiamo parlando di una degenerazione del lavoro, che aggredisce una certa condizione economica e non tanto la nazionalità. Le fasce più deboli della cittadinanza sono quelle più esposte».

Quindi potremmo dire che l’aumento della povertà influisce aggravando ancora di più la situazione?

«Non c’è dubbio. Stiamo studiando in modo approfondito tutto questo dal 2015 ed è ormai evidente come l’aumento della povertà, conduca le persone ad accettare forme di lavoro irregolari o mal pagate pur di lavorare».

E il caporalato? È presente a Ravenna anche questa forma di sfruttamento?

«In questo caso parliamo di una condizione di lavoro ai limiti dello schiavismo e, stando agli studi effettuati, non sembra che a Ravenna ci sia la presenza di questo, diversamente da quanto accade in territori limitrofi».

Secondo lei esiste un problema di mancanza di controlli?

«La sensazione è che ci sia più una mancanza da parte della politica. Penso ad esempio alla legge 199 del 2016 contro il caporalato, fortemente voluta dalla Cgil e ancora non del tutto applicata. Servono investimenti, perché questo fenomeni si combattono prima di tutto con la repressione».

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