C’era una volta Ravenna Capitale

Di: Lauretta Bellini

La storia di Ravenna è tanto antica, quanto incerta.
Forse fondata dai Tessali provenienti dall’odierna Tessaglia (Grecia), forse fondata dai Tirreni provenienti dall’isola greca di Lemno, sorse su un’ampia palude in cui confluivano diversi fiumi, alcuni dei quali ramificazioni del Po.
Forse fu abitata dagli Umbri, considerati la più antica popolazione italica e prima ancora dagli Etruschi, civiltà italica con forti contaminazioni autoctone, greche e orientali.
Nel III secolo a.C. Ravenna entrò nella sfera d’influenza dell’Impero Romano, riuscendo a conservare a lungo una sua autonomia e beneficiando, nel corso dei secoli successivi, di importanti infrastrutture che le consentirono di ampliare il proprio territorio, la sua percorribilità e, sfruttando la propria posizione sul mare, di avere di stanza la flotta militare dell’impero romano, Classis Ravennatis, seconda flotta dell’Impero per importanza, voluta dall’imperatore Augusto per sorvegliare la parte orientale del Mediterraneo.
Tre volte capitale (dell’Impero Romano d’Occidente, del Regno degli Ostrogoti e dell’Esarcato Bizantino) visse periodi di grande splendore, legati alla propria posizione sul mare che consentiva lo sviluppo dei commerci con i popoli dell’area mediterranea e orientale, alternati a fasi di decadenza e di stallo.
Come capitale dell’Esarcato d’Italia (VI-VIII secolo), la Ravenna bizantina conobbe un periodo di grande splendore e di prestigio; infatti, Giustiniano, divenuto imperatore d’Oriente nel 524, s’impegnò a sottrarre alle dominazioni barbare i territori già appartenuti all’Impero Romano d’Occidente e Ravenna fu tra le prime città a essere riconquistate. Ricostituì le prefetture del Pretorio e Ravenna fu dichiarata capitale della Prefettura d’Italia. Il primo prefetto del pretorio nominato dai Bizantini fu Atanasio e, a conferma del prestigio che la città aveva raggiunto, Giustiniano pose al vertice della sede vescovile ravennate un suo uomo di fiducia, Massimiano che assunse, per volontà dell’imperatore, la carica di arcivescovo, che lo equiparava al papa e ai patriarchi. Per molti secoli a venire l’arcivescovo di Ravenna fu, insieme all’esarca, uno dei principali rappresentanti del potere imperiale bizantino in Italia.
Durante il periodo bizantino, Ravenna si arricchì di quegli splendori che, ancora oggi, possiamo ammirare: S. Vitale, S. Apollinare in Classe ….impreziositi dai più bei mosaici del mondo e che si affiancarono alle preziosità fatte erigere da Galla Placidia che aveva continuato l’azione di monumentalizzazione della città avviata da Onorio, nel quarto di secolo precedente.
E ora? “Mala tempora currunt” (corron tempi cattivi), avrebbe sentenziato Cicerone.
Ravenna sonnecchia, spesso avvolta da una specie di bozzolo di fitta nebbia intrisa di smog, a volte così intenso da far fatica a respirare.
E’ un sonno che dura da tanto, troppo tempo.
Pare come narcotizzata dall’indolenza e dall’incapacità delle proprie Istituzioni e della classe politica che la domina e la reprime.
Ne soffre la bellezza dei suoi stupendi mosaici e i suoi otto siti archeologici patrimonio dell’Unesco non riescono a scuoterla dal suo torpore.
E’ una città che ogni giorno perde tante occasioni per rinascere, se solo attingesse all’enorme bagaglio culturale e artistico impresso nelle sue vestigia, direi nel suo DNA.
Una città con un tale patrimonio dovrebbe essere capitale della cultura ogni giorno e, dopo aver creato le infrastrutture necessarie, dare impulso a un tipo di turismo intelligente ma vario.
Invece, il turismo che tocca Ravenna è un turismo lampo, del tipo “mordi e fuggi”: tantissime gite scolastiche, globalmente visite della durata di qualche ora, pochi i visitatori che si fermano qualche giorno per vivere la città nella sua pienezza.
Non è più la città pulita e ben tenuta di qualche anno fa che t’invitava a passeggiare per le strade del suo centro, perdendo volentieri tempo a guardare le vetrine dei suoi negozi.
Ora tanti hanno chiuso le serrande per sempre e dà un’enorme tristezza passare da via Paolo Costa e accorgersi che ormai non c’è quasi nessuna attività commerciale viva.
Se vai in darsena, poi, c’è da piangere e non è certo una ruota panoramica, piazzata lì per una ragione che non comprendo a migliorarne l’aspetto desolante.
C’è il vuoto del nulla, non c’è vita o forse si vedono solo le macerie di una Ravenna che fu uno dei primi porti dell’Adriatico.
Per fortuna, non so se per buon senso o se per programmazione, è stata tolta!
Nel 2016, a furia di attendere l’esecuzione delle opere per l’approfondimento dei fondali, il Porto di Ravenna è sceso all’ottavo posto per flusso merci e per il turismo non riesce a entrare nella classifica delle prime 10 posizioni per transito annuo di passeggeri del turismo croceristico.
E le periferie? Abbandonate e lasciate deperire, sono quasi indecenti! Le zone verdi sono trascurate: le erbacce altissime impediscono la fruizione dei parchi; gli alberi mai potati vengono lasciati morire. Le strade, asfaltate con materiale scadente, hanno un manto pieno di dislivelli pericolosi per chi ha problemi di deambulazione e le buche, sempre più numerose, vengono di tanto in tanto rattoppate non si sa con quale intruglio che, alla prima pioggia, si sfaldano riportandole allo stato precedente.
La città e, soprattutto le periferie, quasi non conoscono la ramazza, forse perché da quando gli spazzini o netturbini sono diventati “operatori ecologici”, questo prezioso attrezzo, invece di essere usato, viene portato a spasso in bella vista sul cassone dei furgoncini degli addetti alla pulizia delle strade e dei parchi, sempre più sporchi per la maleducazione delle persone o perché la natura lascia a terra i suoi scarti naturali.
Ci sono cumuli di foglie morte o rami spezzati che nessuno raccoglie e che, quanto tira vento forte si spargono ovunque.
Neppure le rare falciature delle aree verdi sono fatte con cura: una parte di erba è tritata e lasciata sparsa sui terreni, dove in poco tempo marcisce rilasciando cattivo odore e, quel che è peggiore, diventa ambiente adatto alla proliferazione di insetti, specialmente zanzare.
Quanto altro ci sarebbe da ricordare, soprattutto sull’impegno istituzionale ravennate, che in un passato relativamente recente, ha sostenuto esperienze innovative nel settore educativo, che si è speso per l’inserimento dei disabili e ha sostenuto un modello di welfare, molto più equo ed oculato di quello contemporaneo.
Eppure i cittadini, sempre quelli, pagano fior di tasse esageratamente alte per i servizi di cui possono fruire!

Insomma, c’era una volta Ravenna Capitale, pulita e ben curata, all’avanguardia in tanti settori e ora, purtroppo, non c’è più….

Fonte storica: “RAVENNA UNA CAPITALE” edizione ampliata e aggiornata 1978

2 comments to “C’era una volta Ravenna Capitale”
  1. Ma non sono un tantino azzardati il paragone e la nostalgia per il periodo in cui era capitale? A mio avviso, è proprio questo che frena il cambiamento, l’anacronismo fattivo e simbolico giacché la città non sarà mai più capitale di niente (a meno che non attui la secessione). E dire che si stava meglio, chessò, 30-40 anni fa?
    Un periodo più prossimo… non è davvero successo niente nel frattempo, dai tempi in cui era capitale? Come dice quella canzone “scurdateve ‘o passato, simme e ******* paisa’”. P.S. A parte che a sentir parlar di impero io sento odore stantio di fascismo. Come se la città avesse messo in atto una personale damnatio memoriae relativamente alla sua storia nel suo complesso. Volete dei primati (essere capitale) o vivere meglio? Purtroppo, non sapete scrollarvi di dosso il vostro atavico provincialismo, è questa la grave colpa.

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