SÌ al referendum o perderemo quel che resta delle nostre spiagge

Il problema principale che deriva dalle attività estrattive di gas e petrolio nei nostri mari è la grave ricaduta in termini di subsidenza, che genera un abbassamento del litorale tale da produrre un’incontrollabile erosione costiera: in alcuni punti è stato calcolato un aumento annuo di circa 10 volte (20 mm) rispetto ai valori della subsidenza naturale (2 mm).
Questo è il pesante prezzo che sta pagando la collettività per mantenere le attività delle aziende petrolifere, quantificabile in cifre da capogiro: la stima di Legambiente, avvalorata da semplici calcoli di mercato, afferma che, per combattere l’erosione costiera causata dalla subsidenza indotta dalle estrazioni, fra il 1950 e il 2005 gli enti pubblici del litorale romagnolo hanno dovuto sostenere una spesa di oltre 1 miliardo di euro, a fronte di un guadagno derivato dalle licenze che si aggira sui 7,5 milioni di euro all’anno.
Il 19 febbraio 2016 la regione Emilia-Romagna ha concluso l’assegnazione di un bando denominato “Messa in sicurezza di tratti critici del litorale regionale mediante ripascimento con sabbie sottomarine” del valore di oltre 15 milioni di euro, dove i tratti critici sono esattamente i punti che si trovano di fronte agli impianti di estrazione a mare. Le enormi spese che negli ultimi anni sono state affrontate dagli enti locali, come comuni e provincie, per tentare di bloccare l’abbassamento delle spiagge è praticamente incalcolabile per via delle infinite strade che continuamente vengono prese da tali provvedimenti. È per questi motivi che il 1 aprile 2016 il Comune di Ravenna ha approvato un ordine del giorno che chiede l’immediata chiusura della piattaforma di estrazione Angela Angelina al largo di Lido di Dante.
Inoltre da questo anno sono cominciate anche le eliminazioni di alcuni tratti della pineta di Classe prospicienti al mare: i ripetuti ingressi dell’acqua salata, che non trovano più l’argine naturale delle spiagge, finiscono per irrompere all’interno della pineta e provocano la morte della vegetazione che incontrano.
È evidente che le trivellazioni all’interno delle 12 miglia marine non sono più sostenibili dalla nostra società e in nessun modo possiamo permettere che ciò si ripeta ancora. Oltre ai costi in termini di spesa pubblica, si aggiungono anche le perdite per le attività lavorative legate al turismo e le perdite di importanti beni pubblici come spiagge e pinete. Noi vogliamo mettere fine a questa disgrazia.
Alcuni anni fa si posero infatti le basi per dire basta al fenomeno della subsidenza indotta dalle trivelle: il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 eliminava le concessioni di estrazione e ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia dalle coste marine. Era una disposizione emanata ai fini di tutelare l’ambiente e l’ecosistema in virtù di leggi nazionali, regionali e in attuazione di atti e convenzioni internazionali. Stipulata sulla base degli studi scientifici realizzati proprio a Ravenna da Arpa Emilia-Romagna che stabilivano con esattezza le preoccupanti dimensioni di questo fenomeno, che se non fosse stato affrontato con determinazione avrebbe irrimediabilmente segnato in senso negativo lo sviluppo delle aree costiere italiane. Un insuccesso del SÌ al referendum porterebbe quindi l’Italia nelle medesime condizioni di quei Paesi in cui vige un sistema di norme poco efficaci sul piano della difesa dei beni pubblici, cioè esattamente le stesse condizioni che le sconsiderate multinazionali dell’energia vanno a ricercare in Africa o in Sud-America, giocando il ruolo del distruttore per il futuro delle popolazioni locali. È questo il futuro che vogliamo anche per l’Italia?
La lista Ravenna in Comune afferma infine di essere perfettamente a conoscenza dei posti di lavoro che verranno persi con la chiusura degli impianti. Ma per questa evenienza possediamo tutti gli strumenti per ottenere una felice risoluzione del problema: ci sono ancora 11 anni prima che scadano le concessioni attualmente in vigore e riteniamo che questo lasso di tempo sia sufficiente per programmare una seria ed efficiente ricollocazione delle persone impiegate e non perdere le capacità ed il know how lavorativo. Ravenna in Comune si impegnerà per la creazione di tavoli di confronto fra dirigenti aziendali, amministratori pubblici e lavoratori per coordinare nel modo più appropriato questo difficile ma inevitabile passaggio. Sempre che il settore dell’oil&gas non vada a picco a causa delle sue stesse incapacità: Franco Nanni, presidente del Roca (l’associazione che raggruppa le aziende del settore offshore ravennate), ha dichiarato pochi giorni fa che la crisi del settore prevede altri 3 mila esuberi su un totale di 6700 dipendenti. Che sono più o meno le stesse perdite di posti di lavoro che si prevedono qualora vinca il SÌ al referendum: a questo punto le ragioni del NO appaiono completamente inesistenti.

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