Le mani sul porto e l’antifascismo dei fondali

Siamo arrivati alla fine del primo mandato di Galliano Di Marco quale Presidente dell’Autorità Portuale di Ravenna e sia il PD che i poteri forti ravennati stanno sparando le ultime cartucce per evitare che ce ne sia un secondo. Sembra passato un secolo da quando, nel marzo 2012, l’allora Presidente della Regione Errani (anche dalla sua fine sembra passato un secolo) si era convinto fosse la scelta giusta: un professionista della legge obiettivo, lontano dai condizionamenti delle consorterie ravennati (che il “governatore” ben conosceva e disprezzava), di fiducia del suo braccio destro, l’assessore ai trasporti Peri. Gli affida un unico compito, per conseguire il quale solo a lui deve rispondere: quello di approfondire sino ad un livello mai raggiunto prima i fondali del porto canale di Ravenna, sua città di riferimento e più importante porto della regione. Dopo quattro anni, vale la pena chiedersi cosa abbia portato allo stallo attuale, cioè alla più grave crisi mai intervenuta nei rapporti tra i vertici dell’ente porto e dell’amministrazione comunale? Riteniamo di sì, in quanto la risposta può meglio servire a capire cosa potrà succedere nei successivi quattro e oltre!
Lo stallo, infatti, è dovuto proprio a quelle consorterie che dettano la linea nel PD locale. Di quello locale parliamo, non perché quello nazionale sia meglio, ma perché è diffusa la leggenda che l’elettore posto davanti al simbolo del PD sulla scheda alle prossime elezioni amministrative, ad un presunto buon governo cittadino dovrebbe guardare, ben diverso (nella leggenda) da tutto quanto allontana dal renzismo di Roma. Dunque, se si è giunti al punto attuale è poiché il progetto coltivato da chi guida il PD e da chi se ne avvale era ed è ben diverso da quello del “marziano” abruzzese.
Quanto di interesse per la Dainasty familistica piddina e dintorni era ed è la redistribuzione delle risorse pubbliche intercettate tramite la legge obiettivo senza intaccare gli interessi consolidati. L’ipotesi di ridislocare l’attuale terminal contenitori in aree di proprietà della Sapir e della famiglia Poggiali (cosiddetta punta Manhattan della penisola Trattaroli) avrebbe permesso di trasformare terreni “abbandonati” al destino di cassa di colmata in potenziali risorse immobiliari per lo sviluppo terminalistico. Di fatto, poiché nessuna attuazione era prevista in tempi non storici per parte privata (sono ignote tempistiche e investimenti), l’unico intervento programmato restava quello dei banchinamenti e degli escavi da parte dell’ente porto. Ma proprio e solo l’intervento pubblico sarebbe comunque stato sufficiente per dare il là ad un’operazione in grado di dare in potenza nuove destinazioni anche alle aree oggi occupate dall’attuale terminal container e garantire continuità agli affitti dei terreni di Sapir per mantenervi i materiali degli escavi.

Dunque, un beneficio per C.M.C. (aree e lavori, nonché una quota della società di gestione del terminal) e per i Poggiali (aree), ma soprattutto per Sapir (aree) e per il suo azionariato: quello pubblico, silente, ma soprattutto quello privato, attivo al di là della formale condizione di minoranza nel controllo. Parliamo, in ordine di azioni detenute, di una banca (la Cassa di Risparmio), del monopolista nella fornitura di manodopera sulle banchine (la Compagnia Portuale), del più grande operatore petrolifero e chimico italiano (l’ENI) e, last but non least, della famiglia Ottolenghi (che non a caso parla di “nostro” sindaco, in riferimento a Matteucci). Se poi si aggiunge che a Ravenna i destini dell’ENI sono strettamente collegati a quelli del gruppo Ciclat e alla famiglia Bessi il quadro d’assieme assume una sua completezza.
Inevitabile, dunque, che il “progettone” di Di Marco per essere attuato si sia trovato nella necessità di una continua rideterminazione e aggiustamento per far fronte al fuoco di fila degli interessi consolidati: se per superare le mancanze del progetto originariamente confezionato dalle consorterie e “regalato” all’Autorità Portuale era necessario rimettere in discussione tali interessi, la controreazione di tali interessi e il conseguente blocco di qualunque attività era nelle cose, a dispetto degli sforzi di Di Marco per superarlo. E più gli sforzi di Di Marco si sono intensificati più si sono coagulati gli interessi del partito di maggioranza (PD) e di quello di contorno (PRI), l’ultimo a conservarsi “fedele”, a quelli dei privati influenti, fino a costituire un unico blocco, senza capacità e competenze per far avanzare i propri progetti ma abbastanza forte da impedire la realizzazione di quelli del Presidente dell’Autorità Portuale.
Né qualcosa è destinato a cambiare con l’appena intervenuta nomina del comandante della Capitaneria di Porto nel ruolo di commissario dell’ente porto
Trovata la risposta al perché dell’inevitabile conflitto, la domanda successiva è: quali possibilità ci sono che gli interessi delle consorterie abbiano la peggio su quelli della collettività? Visto il sostegno garantito al candidato del PD da quello stesso blocco di interessi, la risposta è inevitabilmente collegata all’esisto delle prossime elezioni di giugno. De Pascale ha le stesse possibilità di adottare politiche che puntino alla tutela del bene porto per la collettività, mettendolo al riparo dai voraci appetiti dei suoi influenti sostenitori, che ha avuto Matteucci prima di lui. De Pascale nemmeno si rende conto che le competenze dell’ente porto, già esclusive in tema di fondali, sono destinate a farsi ancora più determinanti se passerà la controriforma incostituzionale di Renzi che tanto gli piace. L’antifascismo dei fondali non è solo un infelice slogan ma tutto quanto De Pascale è in grado di elaborare sul destino del porto: se lo ricordino gli elettori al momento del voto! Se l’amministrazione comunale vuole fare qualcosa per il porto e per la sua economia, può e deve agire invece sugli strumenti di programmazione urbanistica, non per agevolare gli interessi dei soliti noti, come già in passato, ma per rendere effettivo un uso sostenibile del territorio a sostegno del porto. E poi va ridata a Sapir la missione pubblica che ha perso per strada.

Per Ravenna in Comune, prima Ravenna, non è solo uno slogan!

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